mercoledì 3 dicembre 2008

Vivere alla giornata, by FREDDIE


Vivere alla giornata, by FREDDIE



Tratto da “Come prendere il Mal d’Africa (e altri 101 virus tropicali)”, di FREDDIE

Si sente spesso dire che i kenioti, specialmente le tribù giriama della costa, vivono alla giornata. Si tratta di una semplificazione che determina il loro lifestyle, il modo di porsi di fronte agli eterni dilemma dell’esistenza.

Siamo in presenza senza dubbio di una grave forma virale, di una patologia davvero insopportabile per l’uomo occidentale, che ormai e’ abituato a vivere al secolo, se non al millennio.

Malattia tropicale i cui sintomi si avvertono attraverso una sorta di emiparesi che disegna sul volto un sorriso ebete e una lentezza nei movimenti a meta’ tra il primo uomo sulla luna e la moviola della Domenica Sportiva.

Vivere alla giornata e’ un virus che, se dura poco o viene circoscritto con adeguate cure, puo essere benefico; se prolungato e poi cronico, puo portare invece a scambiare la propria angusta villetta provvista di piscine, con un comodo e lussuoso bilocale in fango e sterco a Kisumu Ndogo.

E’ molto facile trasmetterlo agli altri, ma anche suscitare un misto di compassione e distacco che spinge il prossimo a scatenare immediatamente gli anticorpi e a starsene alla larga.

Attenzione, la malattia non agisce sui neuroni, ma sul sistema nervosa e sul cuore, quindi e’ molto piu’ difficile curarla, inoltre non e’ sempre facile diagnosticarla, perchè molta gente vi e’ gia naturalmente predisposta.

Gli infetti sono strani individui di carnagione chiara. Li vedete andare in giro a passo dim zee (andatura da ottantacinquenne con osteoporosi), riflette un quarto d’ora prima di attraversare la strada, sorride a tutti e saluta perfino le piante, ma allo stesso tempo fregarsene di un appuntamento, del lavoro, di riparare l’automobile perche’ “se metterla a posto costa 12 mila scellini, con la stessa cifra ho a disposizione 600 corse con il “boda-boda” (il taxi bicicletta)

Spaesati, svagati, drogati d’aria e di tangawizi (una bevanda frizzante a base di ginger, una sorta di Sprite piccante. Disgustosa), stanchi gia’ dal mattino, arrivano alla sera davvero convinti di aver vissuto una vita intera, come una farfalla.

Allievi che hanno gia’ superato i maestri, prendendo tutto cosi alla leggera che anche gli stessi kenioti prima o poi si chiederanno se per caso a quei muzungu (uomo bianco) strani non gli sia finito addosso un matatu (i taxi collettivi locali).
Non che un Katana (uno dei nomi propri piu’ frequenti tra i Giriama, tribu’ della costa) qualsiasi non si sia mai posto i quesiti fondamentali, anzi, probabilmente li ha risolti mooooolto prima di noi.

Ecco un esempio di come il giriama modello ha affrontato la questione:

Domanda: chi sono?
Risposta: un Katana qualsiasi.
Domanda: da dove vengo?
Risposta: da Mtangani, sulla strada per le prigioni di Malindi
Domanda: da dove veniamo tutti?
Risposta: io da Mtangani, alcuni miei parenti da Kololeni, i cugini da Marafa. Gli altri basta chiederglielo.
Domanda: perche’ siamo qui?
Risposta: per i soldi, altrimenti ce ne stavamo al villaggio a farci i cavoli nostri (e anche le nostre mchiche) dalla mattina alla sera
Domanda: da quanto tempo siamo qui?
Risposta: da parecchio, i matatu e’ in ritardo
Domanda: dove siamo diretti?
Risposta: dipende da chi guida e se ha fatto sufficente benzina.
Domanda: c’e’ un altrove?
Risposta: si, ma il passaporto per andarci costa troppo e il viaggio non ne parliamo…

Come si puo notare, tutti I rompicapo su cui l’uomo occidentale si e’ arrovellato per secoli e secoli, pensando all’immediato presente prossimo perche’, dice Katana: “il futuro e’ un’altra vita e io alla reincarnazione mica ci credo”.

Ultimamente un gruppo di studiosi stranieri di Malindi ha dato vita alla “Giriama Foundation”, associazione no-appofit che si e’ posta come obiettivo la comprensione globale della filosofia di vita delle popolazioni locali e la possibilita’ di metterci in relazione. Cosa che per ora non sono riusciti a fare migliaia di residente italiani, centinaia di uomini di fede, decine di enti di beneficenza e milioni di rapporti sessuali interrazziali.

I soci fondatori hanno pazientemente frequentato i baretti e i ritrovi locali, hanno vissuto per settimane intere nelle capanne di fango e sterco, hanno mangiato ottima polenta e spinaci, hanno bevuto acqua dei pozzi, e alcuni di loro non sono morti.

Una delle prime carte ufficiali dei superstiti della fondazione e’ il decalogo, una serie di inappuntabili postulate che aiutano a fare luce sugli indigeni e di conseguenza su tutti i muzungu che hanno uno stile di vita eccessivamente in sintonia con la terra in cui si sono trasferiti. Due di questi postulati sono davvero indicative per capire cosa voglia dire “vivere alla giornata”.


SE DOMANI MI ALZO

Questo e’ senza dubbio il piu’ importante postulato, tra quelli che esplorano I motive del cosiddetto “vivere alla giornata”.

Determina non soltanto l’incertezza e l’indice di casualita’ dato dal “se”, ma anche dalla scansione temporale a cui per prima cosa ed in ogni momento si fa riferimento. Il giorno dopo.

Inoltre il condizionale “se” impone di fermare la frase li, perche’ e’ inutile fare dei progetti quando non e’ nemmeno certa la propria presenza.

Quindi sbaglia il muzungu programmatore che avrebbe chiuso ogni frase: “se domani mi alzo, vado al mare” o “da domain mi metto a dieta”

Ed e’ il minimo, perche’ il muzungu, per quanto riguarda le cose piu importanti, non mette nemmeno in dubbio la propria presenza, come se l’uomo civilizzato nel terzo millennio non potesse sparire cosi, da un momento all’altro.

“Domani mi sposo”, “Domani mi licenzio”.

Il dubitativo metterebbe in allarme tutti. Chi provasse a lanciare un “se domani mi alzo, mi sposo”, verrebbe preso per pazzo complete, e offenderebbe la future (ipotizzabile) consorte.

E’ forse proprio la mancanza di tale fatalismo a complicarci la vita e a rendercela una gabbia (matrimonio a parte, era solo un esempio, per carita’)?

Insomma a Malindi non esiste “da grande” o “quando saro’ vecchio” o semplicemente “la prossima estate”.

Nel pensiero di molti indigeni anche una frase come “l’anno venture mi trasferiro’ a Mombasa”, diventa “se domain mi alzo, e’ praticamente certo che non vado a Mombasa”. Il pensiero restera’ pressoche’ uguale tutti i giorni, fino alla sera prima del trasferimento nella cittta’.

Sempre che Katana, quel giorno, abbia deciso di alzarsi.



NON C’E’ UN PERCHE’

Ecco la risposta perfetta a tutte le casualita’ che governano il mondo e la nostra esistenza.
Sembra fin troppo facile questo fatalismo da Quattro soldi, ma in realta’ Katana guarda molto piu’ in alto.

Non c’e’ un perche’ nemmeno nel comportamento di Dio, che ci ha messi un po’ nelle peste, dice lui. Ma siccome non c’e un perche’ per quasi tutto, possiamo continuare a pregare, anche perche’ noi quaggiu’ ci comportiamo allo stesso modo.

Il bianco arrivato in Kenya vede soltanto la punta dell’iceberg di questo profondo pensiero. “Perche’ rifa’ lo stesso errore ogni giorno?” pensa il suo houseboy, “perche’ se ogni volta che ho un appuntamento con un africano alle 10, arriva alle 11?”, “perche’ il falegname prima impaglia le sedie e poi le vernicia?”

E’ cosi semplice: Non c’e’ un perche’


Tratto da “Come prendere il Mal d’Africa (e altri 101 virus tropicali)” di FREDDIE

FREDDIE, al secolo Alfredo del Curatolo, che di mestiere in Italia scriveva e che in Kenya spadella. E’ l’autore del perdibile manuale “ Come diventare un perfetto residente italiano a Malindi” e “I racconti di nonno Kazungu”

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