martedì 3 febbraio 2009

Tiwi (parte 2)





Barche di pescatori a riva ad attendere nuovamente l’alzarsi della marea… granelli di sabbia bianca in cui far sprofondare dolcemente le dita dei piedi…

Camminare, l’occhio curvo a terra che cerca conchiglie, bianchi pezzi di corallo che la forza del mare ha strappato alla barriera corallina…

Palme che sfidano il soffio dell’oceano e che suonano la musica del vento, per poi, passo dopo passo, arrivare alla foce del Kongo River, un piccolo fiume da guadare, l’acqua che non sa dove andare, il fiume che scorre contro un oceano che spinge…

Sullo sfondo una distesa di baobab, immensi alberi secolari piovuti a testa in giu’ dal cielo, e la’, su una radura vicino al fiume, la vecchia moschea Kongo che troneggia indisturbata, meta del mio pellegrinare.

Un ragazzo di nome Alì rasetta a terra, cappellino mussulmano in una bianca tunica lunga sino ai piedi, nei suoi occhi il riflesso del sole.

La moschea Kongo è una delle poche (se non l’unica rimasta) moschea in roccia corallina (appartenente alla cultura swahili) ancora in funzione sulla costa. Tutte le altre non sono che rovine, monumenti a testimoniare la gloria e la ricchezza di un tempo passato…

Chiedo gentilmente ad Alì se posso entrare, mi guarda, lo guardo, cerco di fargli capire tutto il mio rispetto. Ok va bene, si entra da quella parte, c’è da lavarsi i piedi, mi allunga un pezzo di stoffa, devo coprir la nudità delle mie gambe, entro, deposito sul pavimento le mie cose, dentro è fresco e non c’è nessuno, c’è odor di salsedine, son emozionato, felice, è la prima volta che entro in una moschea, e questo luogo emana un’energia speciale, sentendomi un privilegiato ospite d’onore.

Sottovoce gli pongo i miei mille quesiti, gli chiedo quali gesti e quali azioni compie un buon mussulmano quando si reca in una moschea come questa, dove va e cosa fa, mi risponde che siede legge e prega…

Gli chiedo se posso trattenermi un po’ di tempo per pregare, in solitudine e in silenzio. Acconsente. Mi siedo vicino ad una colonna su tappeti troppo logori che han visto tempi migliori, tappeti che raccontan la storia delle persone che “vivono” questo luogo, e se si sta in silenzio, si riesce a udire il loro canto che si perde nel fruscio del vento…

Rimango lì seduto ad occhi chiusi (in seiza) un tempo imprecisato, mi chino portando la fronte a terra, e prego… prego un Dio universale, ciò che sta al di sopra delle cose delle persone e delle religioni, quell’entità o quell’essenza che permea tutto e che non è rinchiusa tra le righe e le parole dei testi sacri. Le religioni non sono che alfabeti, un mezzo per comunicare, perché la somma essenza non ha ne codici ne nomi…

Un rumore di passi, qualcuno che entra e siede sfogliando le pagine di un libro, sarà il corano? Lentamente apro gli occhi e mi alzo, saluto Alì uscendo e pongo la mia offerta votiva in una cassetta.

Dirigo i miei passi verso il fiume, barcaioli annoiati in cerca di turisti si sbracciano gesticolando qualcosa, vado oltre e riprendo il cammino… uccelli fenicotteri… le curve del fiume… baobab e mangrovie, granchi che sgambettano nascondosi dentro le loro tane… ragazzi che spaccano conchiglie per estrarre il mollusco che gli farà da esca, nell’altra mano la lenza, amo e filo arrotolato ad un pezzo di legno…

Fotografo nella memoria questa pace e questo silenzio, ciao Tiwi, è giunto il momento di prendere il matatu per tornare a Malindi…

Robato Msafiri

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