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In avanscoperta, una mezza informazione, un pizzico di fortuna… Percorrere strade non ancora percorse, cercare luoghi non ancora visitati, andare la’ dove sembra non esserci nulla, e finalmente trovare qualcosa per cui vale la pena fermarsi… Takaungu (*1) (*2).
Takaungu e’ un piccolo villaggio di pescatori fronte oceano posizionato sulla sponda dell’omonimo creek. La strada sterrata si perde entrando nel villaggio in mille vicoli e vicoletti. Non un turista e nessun uomo bianco all’orizzonte. Tutto e’ fermo come per incanto e la vita scorre lenta al riparo dal sole. Uomini e donne dalla pelle color nocciola sono seduti all’ombra di una qualche pianta o sonnecchiano su qualche stuoia di ukindu intrecciato. E’ il mese del ramadam, tutti son provati dalla fame e dalla sete, niente cibo e bevande alla luce del sole...
In sella alla mia Bajaj mi addentro tra capanne di fango e baracche fatiscenti, ho bisogno di chiedere informazioni... un ragazzo speranzoso di ricevere qualche scellino si presta a farmi da guida, lo carico destinazione creek, uomini dalla lunga tunica bianca tipica muslim e berretto in testa bivaccano pigri su panchine col tetto in makuki cercando di ingannare la fame e lo scorrere del tempo...
L’azzurro dell’oceano sfuma su bianca sabbia per poi confondersi col cielo, canu (canoe ricavate dal tronco di un albero) e dhow (tipiche imbarcazioni swahili a vela) sono a riposo per la bassa marea. Ascolto le loro storie... arabi che dall’Oman son giunti fin qui via mare per caricare schiavi e poi ripartire... il corano che ancora oggi viene letto sia in arabo che in swahili... i tempi delle preghiere e le moschee... la barca a remi di “Caronte” che pagato dallo Stato fa traghettare cose bestie e persone da una sponda all’altra del creek... il riso al cocco e il samaki grigliato... e penso a tutti quei wazungu (uomini bianchi) residenti che sorseggiano calici di vino nel lusso delle loro ville e a tutti quei turisti italici che sforchettano spaghetti nel loro resort fronte mare.
Sorrido e ringrazio di cuore, “Salama alekum”, “Alekum salam”, l’avanscoperta continua...
4 settembre 2009
Roberto Msafiri on the road
(1) Takaungu – Il nome del villaggio nasce da una necessita’ e significa “c’e’ bisogno di unire”, di collegare una sponda all’altra, per permettere alle persone di attraversare l’insenatura evitando cosi km e km di bush…
(2) Prima dell’arrivo degli interessi asiatici (cinesi, giapponesi…) non esistevano ponti sulla costa: la strada finiva dritta in acqua dove ad attenderti c’era una improbabile bagnarola che caricava persone mezzi bestiame e cose per esser trasportate da una sponda all’altra… ora formulando accordi di reciproco aiuto (sfruttamento delle risorse ittiche keniote…la colonizzazione ha cambiato prospettiva, globalizzazione…) hanno costruito ponti.
Takaungu e’ un piccolo villaggio di pescatori fronte oceano posizionato sulla sponda dell’omonimo creek. La strada sterrata si perde entrando nel villaggio in mille vicoli e vicoletti. Non un turista e nessun uomo bianco all’orizzonte. Tutto e’ fermo come per incanto e la vita scorre lenta al riparo dal sole. Uomini e donne dalla pelle color nocciola sono seduti all’ombra di una qualche pianta o sonnecchiano su qualche stuoia di ukindu intrecciato. E’ il mese del ramadam, tutti son provati dalla fame e dalla sete, niente cibo e bevande alla luce del sole...
In sella alla mia Bajaj mi addentro tra capanne di fango e baracche fatiscenti, ho bisogno di chiedere informazioni... un ragazzo speranzoso di ricevere qualche scellino si presta a farmi da guida, lo carico destinazione creek, uomini dalla lunga tunica bianca tipica muslim e berretto in testa bivaccano pigri su panchine col tetto in makuki cercando di ingannare la fame e lo scorrere del tempo...
L’azzurro dell’oceano sfuma su bianca sabbia per poi confondersi col cielo, canu (canoe ricavate dal tronco di un albero) e dhow (tipiche imbarcazioni swahili a vela) sono a riposo per la bassa marea. Ascolto le loro storie... arabi che dall’Oman son giunti fin qui via mare per caricare schiavi e poi ripartire... il corano che ancora oggi viene letto sia in arabo che in swahili... i tempi delle preghiere e le moschee... la barca a remi di “Caronte” che pagato dallo Stato fa traghettare cose bestie e persone da una sponda all’altra del creek... il riso al cocco e il samaki grigliato... e penso a tutti quei wazungu (uomini bianchi) residenti che sorseggiano calici di vino nel lusso delle loro ville e a tutti quei turisti italici che sforchettano spaghetti nel loro resort fronte mare.
Sorrido e ringrazio di cuore, “Salama alekum”, “Alekum salam”, l’avanscoperta continua...
4 settembre 2009
Roberto Msafiri on the road
(1) Takaungu – Il nome del villaggio nasce da una necessita’ e significa “c’e’ bisogno di unire”, di collegare una sponda all’altra, per permettere alle persone di attraversare l’insenatura evitando cosi km e km di bush…
(2) Prima dell’arrivo degli interessi asiatici (cinesi, giapponesi…) non esistevano ponti sulla costa: la strada finiva dritta in acqua dove ad attenderti c’era una improbabile bagnarola che caricava persone mezzi bestiame e cose per esser trasportate da una sponda all’altra… ora formulando accordi di reciproco aiuto (sfruttamento delle risorse ittiche keniote…la colonizzazione ha cambiato prospettiva, globalizzazione…) hanno costruito ponti.
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