Mbuzi ulaya, se non fosse scritto così, i mussulmani neanche si siederebbero al tavolo!
Disgustoso… proibito… peccaminoso… sporco… perché qui in Kenya (forse anche altrove, dove convivono gomito a gomito differenti culture e religioni) c’è da cambiar il nome ad un piatto ed ad un animale per sedersi sotto lo stesso tetto per mangiare.
E pensare che in Italia c’è un business enorme con questo animale, dai prosciutti alle salsicce, dai salami alle pancette, se eliminassimo il maiale dalla nostra penisola, che ne sarebbe della nostra amata cucina? Stinco al forno, succulente costolette, lo zampone e il cotechino a fine anno, i ciccioli, il lardo, la coppa di testa e d’estate, le braciole… per passare dalla matricina alla carbonara.
Ma qui in Kenya altro che pork chop, mbuzi ulaya! Altrimenti il fedele all’Islam non entrerebbe nemmeno dalla porta del ristorante…
Mbuzi è la capra, ulaya vuol dire “da fuori”, quindi una capra da fuori (confine)

Ma dietro ad una proibizione, se intelligente, c’è sempre (almeno lo spero!) un buon motivo. In Medio Oriente, terra dove è nato l’Islam, fa caldo, e il maiale è un animale delicato… beh, non sembrerebbe a vederlo, mangia di tutto e si ruzzola nel fango, ma… ma il maiale se non controllato è soggetto fibrocisti e ad altre schifezze, quindi, perché rischiare a mangiarlo?
In paesi dove i controlli sanitari sono pressoché inesistenti (o non esiston veterinari), in paesi dove per l’animale c’è un alto rischio di contrarre malattie, molto più facile proibirlo, spaventando, vietando…
E cosi fedeli mussulmani, cattolici anglicani e protestanti, seguaci induisti e animasti, ognuno professando la propria religione (ci sarebbe da fare anche il discorso delle vacche…) mangiano ciò che vogliono sedendo ognuno con le gambe sotto lo stesso tavolo.
E mbuzi ulaya sia!!!
Amen…
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