mercoledì 3 dicembre 2008

I dhows dell’Oceano Indiano (2)








di Stefano Ruia

Proviamo ora a fornire alcune indicazioni per distinguere i tipi di dhows. Tale compito è difficile, sia perché ogni imbarcazione presenta particolarità caratteristiche della zona di costruzione e addirittura del fundi costruttore (ricordiamo che non esistono piani precisi), sia perché il kiswahili è una lingua universale in quella zona, ma costruita artificialmente e quindi ogni termine ha molti significati insieme e significati diversi per abitanti di zone diverse. Quanto tale catalogazione sia difficile è evidente dal titolo di un articolo di James Hornell sul Mariner's Mirror del gennaio 1942, che suonava circa così: «Tentativo di classificazione delle imbarcazioni arabe».

Descriveremo solo quelle a vela poiché le recenti e rarissime imbarcazioni a motore ricadono sotto l'unica denominazione di mtaboti che, evidentemente, deriva dall'inglese «motorboat». Le imbarcazioni hanno tutte la vela latina con un corto bompresso, e sono classificate in base alla conformazione dello scafo. In verità, fra le barche costruite in africa e quelle costruite altrove la vela è leggermente differente. In quelle africane essa è perfettamente triangolare, nelle altre manca un piccolo triangolo di prua ed esse assumono una forma leggermente trapezoidale. In questo caso la caduta prodiera ha un' asta di legno, legata all'antenna, che la mantiene tesa.

L'albero è sempre in un unico pezzo ed abbastanza inclinato in avanti, mentre l'antenna (l'asta cui è legata la vela) è in genere composta da più parti con giunzioni legate. Essa deve essere sempre sottovento, rispetto all'albero; pertanto, non potendo essere la vela simmetrica, cambiare mura significa dover mollare scotta, volanti, mura (collega l'antenna al bompresso), portare l'antenna verticale, farla passare all'altra parte dell'albero e regolare tutte le manovre. Nello stesso tempo, sulle imbarcazioni di minori dimensioni si devono spostare i sacchi di zavorra sul nuovo bordo. Per fortuna i cambi di mura sono rari, ciò grazie al favorevole regime monsonico dei venti. Salvo qualche leggera variazione, essi spirano costantemente da Nord-Est da aprile a novembre (Kuzi) e da Sud-Est da dicembre a marzo (Kaskazi).

Le imbarcazioni non hanno cabine; i bagni sono esterni e sono costituiti da un piccolo cubicolo di legno con un pavimento forato appeso fuoribordo a poppa. Vediamo alcuni tipi di imbarcazione procedendo dalle più piccole. Anche i dati di stazza sono relativi, in quanto non si usano le nostre tonnellate di stazza, fra l'altro di calcolo difficile non potendo conoscere le misure della barca; ma la capacità di carico viene ancora oggi misurata con le due misure tradizionali: aste di mangrovia o, più a Nord, ceste di datteri.

HORI
È l'imbarcazione più piccola e la più antica. Si tratta della classica piroga, scavata da un unico tronco con ascia e fuoco, che viene spinta con delle pertiche. È lunga fino a cinque metri, ha fondo piatto e fianchi quasi verticali e non è provvista né di chiglia né di timone. Di conseguenza, riuscire a starci seduti senza farla sbandare con il bordo in acqua, risulta, per chi non ci è abituato, difficile quanto pedalare su un monociclo. Il suo compito classico è quello di trasbordare uomini e carichi dalle imbarcazioni più grandi. Come riesca a farlo senza imbarcare acqua lo sa solo Allah («Inshallah!»). Corrisponde, in pratica, al nostro pram. Se usata per un percorso più lungo in favore di vento, viene dotata di una vela umana, nel senso che un ragazzo si alza a prua tenendo sotto i piedi un lembo di pareo o di plastica, estendendone l'altro lato con le mani. Ciò che più stupisce, conosciuta la stabilità della hori, è sapere che a Pemba, isola a nord di Zanzibar, possono raggiungere dimensioni maggiori, chiamandosi in questo caso mtumbwi, e portare anche quindici o venti persone, certo molto affiatate!

NGALAWA
Si tratta di un' imbarcazione strana e poco comune. È infatti una hori di grandi dimensioni il cui bordo libero viene rialzato mediante due assi laterali e, soprattutto, alla quale vengono aggiunti due bilancieri laterali. Questo trimarano primordiale però presenta una particolarità: il bilanciere non è che un'asse piatta inclinata. Solo con la velocità dello scafo esso ottiene una spinta dinamica di sollevamento, in quanto il suo galleggiamento è limitato. Si tratta, quindi, di primitivi hydrofoils. La barca non ha chiglia ed il timone è sollevabile. Dispone di una piccola vela ed è usata principalmente per la pesca. Per risalire il vento deve fare una serie interminabile di bordi; per cambiare mura, a causa della complessità della manovra sopra descritta, i pescatori fanno incagliare la barca sulle rive dei canali ad ogni cambio di mura, onde non perdere lo spazio guadagnato nel bordo.

DAU LA MWAO
Il nome significa «la barca con il fondo piatto» ed, infatti, è un'imbarcazione senza chiglia, con prua e poppa a punta, destinata al trasporto di persone e merci. Il dritto di prua é inclinato in avanti mentre quello di poppa è quasi verticale e porta il timone appeso. Date le dimensioni limitate (fino a sei-sette metri) non è pontata. Il fondo piatto, comodo per le basse lagune all'interno delle barriere coralline, non favorisce la stabilità di rotta, tant'è il proverbio: «Dau la mnyonge haliendi joshi, likienda joshi ni mungu kupenda», «il dau di un uomo non va mai dritto, se ci va è perché lo vuole Dio». Ha un unico albero con una lunga antenna ed una larga vela. La zavorra mobile è perciò essenziale. È una barca arcaica e diffusa a Pate e Siyu, città più tradizionaliste.

MTORI
Simile al dau la mwao, è però dotata di chiglia profonda e carena tonda. Serve, infatti, anche per navigare all'esterno della barriera. È usata prevalentemente per la pesca, in genere delle aragoste. È stretta e la vela latina può essere raramente sostituita da una vela quadra. La sua costruzione è comune a Lamu e Kizingitini. Molti pensano che sia l'erede del dau la utango, l'imbarcazione più comune nel diciannovesimo secolo e probabilmente quella da cui poi è derivato il termine inglese «dhow» (che si pronuncia infatti «dau»).

MASHUA
È una mtori più grande, lunga fino a otto-nove metri. La poppa però presenta un piccolo specchio verticale. Anche il dritto di prua è verticale, mentre il bompresso ha dimensioni maggiori. La sezione dello scafo comincia ad assumere una forma a calice. È molto comune a nord di Mombasa, soprattutto nell'arcipelago di Lamu. La zavorra mobile è integrata, nei bordi più impegnativi, dal peso dell'equipaggio che, incastrati dei pali fra bordo sopravvento e ossatura sottovento, si arrampica all'estremità degli stessi. Fortuna che il monsone non cade mai di colpo, altrimenti un bagno sarebbe assicurato. Le mashua portano a prua e poppa dei pannelli di legno colorati ed incisi, come pure il macho, un piccolo occhio sul fianco con simbolo religioso.

JAHAZI
È una tipica imbarcazione da trasporto, con stazza fra le venticinque e le sessanta tonnellate. È l'imbarcazione più grande ancor oggi costruita a Lamu (principalmente nel villaggio di Matondoni). Rispetto alla mashua aumentano le dimensioni e la forma a calice dello scafo. In genere è tutto pontato con un accesso alla stiva sotto l'albero. La barca non ha battagliola, per facilitare le operazioni di imbarco e sbarco delle merci, in quanto il carico è rizzato anche in coperta. Per evitare l'entrata di acqua viene così aggiunta in navigazione una tipica stuoia di cocco intorno a dei candelieri verticali amovibili. Le jahazi presentano le decorazioni delle mashua e qualche altra incisione su diversi elementi strutturali. Queste imbarcazioni sono già in grado di navigare dall'africa alla costa occidentale indiana. Si tratta comunque di una evoluzione abbastanza recente di barche tradizionali, infatti al di fuori dell'arcipelago sono dette jalibut, che deriva dall'inglese «jolly-boat», tipico naviglio usato dalla marina britannica per pattugliare le coste nella seconda metà del secolo scorso.

MTEPE
Sicuramente le più interessanti barche costruite in questa zona. La loro costruzione comincia verso il 1500, per terminare nel 1930, quando fu varata l'ultima mtepe. Era un'imbarcazione a chiglia tonda e profonda, lunga fino a quindici metri al galleggiamento e larga fino a quattro-cinque metri. Aveva un solo albero, inclinato in avanti, con una vela quadra, che poteva arrivare anche a ottanta metri quadrati. La poppa appuntita, portava un timone appeso, mentre il dritto di prua inclinato si allungava a dismisura incurvandosi verso il basso, tanto da sembrare il capo di un uccello dal lungo collo. Era costruita rigorosamente senza chiodi e destinata al trasporto, principalmente dei boriti, le aste di mangrovia, di cui ne poteva imbarcare anche ventimila. Finemente decorate, le mtepe furono senza dubbio fra le imbarcazioni più eleganti mai esistite.
ABUBUZ
Imbarcazione costruita a Sur, in Oman, presenta un ampio specchio di poppa. La battagliola prosegue oltre la poppa con due « orecchie di gatto». La prua è simile a quella dei nostri vecchi schooner, da cui l'abubuz ha preso ispirazione. Generalmente ad un albero, presenta un castello di poppa cabinato.

SAMBUK
Questa è una imbarcazione raramente visibile fuori del Mar Rosso. Costruita ad Aden e nel sud dell'Arabia ha sempre dominato i trasporti fra Suez e la Somalia. La prua è come la lama di una scimitarra, la poppa è piatta e reca dei fori di aerazione della stiva. General- mente ad un albero, è lunga fino a venticinque metri e larga non più di sei. Il timone, tramite una losca, attraversa lo scafo. Tutta pontata, è destinata principalmente al trasporto di merci e passeggeri. Da lei viene il nostro «sambuchi», riferito alle barche arabe, mentre il suo nome deriva dall'arabo sabak, veloce.
BOOM
Sono le imbarcazioni più grandi. Lunghe anche trenta metri e larghe sei, generalmente stazzano fra le centocinquanta e le duecento tonnellate, ma qualche esemplare arriva anche a trecento. La prua e la poppa sono appuntite. Il dritto di prua, inclinato, si allunga ben oltre la coperta e presenta una punta stondata colorata caratteristicamente di bianco e nero ed ornata da una bandierina. Il dritto di poppa, inclinato, sopporta il grande timone, manovrato da una ruota tramite delle cime di cocco. Dispone di una chiglia profonda ed è destinato al trasporto di merci, sia in stiva (essendo tutto pontato) che in coperta. Ha uno o due alberi con vela latina, di cui quello più a poppa inclinato all'indietro, all'opposto di quello di prua che è di dimensioni maggiori; non riesce, comunque, a stringere il vento a causa della pesantezza e delle forme tozze dello scafo. È pertanto legato al regime dei monsoni. Dispone di un castello di poppa, che talvolta si riduce ad una tettoia, usato per dormire o mangiare. Era costruito principalmente in Kuwait, oggi solo in India, dove però è chiamato dhangi.

Altre imbarcazioni che si possono incontrare in questi porti sono tipiche di Sur, principale centro di costruzione omanita. La ghanjah è simile ad un boom ma la poppa, per influenza portoghese, presenta uno specchio verticale, dotato di cinque finestre di aerazione per la stiva. È molto ben decorata. La versione indiana, molto meno ricca, si chiama kotia. Una ghanjah omanita di dimensioni inferiori e meno decorata è detta baghla. La badan è simile all'abubuz ma con poppa a punta. Il dritto di poppa inclinato si eleva dalla coperta per una notevole lunghezza e ad esso è appeso un lungo timone che si può ritrarre nei porti. L'insieme appare come un pesce con una grande coda che fende le acque. L'albero è stranamente verticale, la barca presenta la stuoia di cocco paraspruzzi, come la jahazi, ma non è pontata.

Purtroppo i dhows stanno sparendo, soprattutto quelli di grandi dimensioni, superati dalle moderne navi a motore. D'altronde essi non sembrano poter essere adattati per il diporto dei ricchi abitanti dei paesi arabi, mentre quelli dei paesi poveri cercano di sostituirli con barche a motore. Qualche romantico occidentale sta adattandoli al charter giornaliero, qualcun altro, come Tim Severin, su un dhow dell'Oman, costruito senza chiodi, ha navigato fino in Cina, per dimostrarne la validità. Ma fra qualche decennio sarà forse possibile vedere solo in fotografia la barca di Simbad, il marinaio per antonomasia, uno dei protagonisti de «Le mille e una notte»

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