venerdì 18 settembre 2009

casa dolce casa

Casa dolce casa, e’ iniziata l’opera di bonifica serpenti. Eliminare le pietraie e sradicare le piante che piacciono di piu’ agli amici serpenti, ce ne sono troppi in giro per il giardino! E speriam di non trovarne uno sotto il letto…! L’altro ieri quasi ne pesto uno, era piccolino piccolino, striminzino e verdino, ma pestarlo in ciabatte infradito… (in foto: il giardino di casa)

martedì 8 settembre 2009

Scusi, puo' venire a prendersi il black mamba?





Scusi, puo' venire a prendersi il black mamba?

Il black mamba e’ uno dei piu’ pericolosi, anzi il piu’ pericoloso, dei serpenti in circolazione. Avete presente il film Kill Bill di Quentin Tarantino? Il suo veleno uccide in soli 7 minuti, e non c’e antidoto (ne tempo) per salvarsi.

E se te ne trovi uno a casa? Semplice, basta chiamare l’uomo del recupero serpenti (e’ il suo lavoro), che come nel nostro caso si arrampichera’ sino sopra al vostro tetto e lo catturera’ (con le mani!) per poi successivamente liberarlo nel bush.

Si era spinto sin sotto al tetto per fame, poi siccome sazio e in piena digestione, complice la mite temperatura e il riparo del tetto, e’ rimasto li’ senza allontanarsi…

Per prendere un black mamba l’uomo dei serpenti si applica una speciale crema inebriante sulle bracia che attira il rettile e lo rende quieto. Una volta afferrato lo infila in una sacca di tela e ne ne va’ via… ma noi eravamo in tanti, tutti con gli occhi puntati in alto a goderci la scena, chi a porgli domande, chi voleva toccar la sua pelle… black mamba, se lo conosci lo eviti.

Se invece se ne va in letargo, catturare un black mamba e’ semplicissimo perche’ dorme come un sasso. Ma siccome si nasconde tra i sassi, vederlo risulta alquanto difficile. Se ne posson vedere in giro nella stagione secca, quando le pioggie son finite, affamato si aggira strisciando per il bush in cerca di succulente prede…

In Africa con i serpenti c’e da conviverci, molti esemplari sono piccoli e innoqui, altri son pericolosi o mortali… take you careful!!! Maisha marefu… (lunga vita!)

Baobab, il gigante solitario




Tratto da: http://www.baobabfruitco.com/

Il Baobab è' una pianta tropicale che cresce spontaneamente in Africa, Australia e Madagascar. In Africa si trova nelle regioni piu’ aride fino al limitare delle foreste, dalle regioni sud sahariane al Sud Africa. I frutti del Baobab erano probabilmente noti fin dagli antichi Egizi; pare che il frutto fosse utilizzato dagli antichi come febbrifugo. Chiamato dagli Africani Albero Magico, Albero Farmacista e Albero della Vita, il nome Baobab deriverebbe dall'arabo BUHIBAB (frutto dai molteplici semi).

La sua vita è lunghissima: la maggior parte dei Baobab vivono 500 anni, ma in alcune parti dell'Africa sembra che ne esistano esemplari vecchi di 5.000 anni. La sacralita' di questa pianta per le popolazioni africane è talmente rispettata dagli abitanti, che solo gli iniziati e i saggi hanno il permesso di arrampicarvisi sopra per raccogliere frutti e foglie. Esso non puo' essere abbattuto dall'uomo, ma solo da eventi naturali, anche se le profonde e lunghissime radici gli consentono di resistere alla furia dei cicloni.

Solitamente, questo gigante tra i piu’ antichi del nostro pianeta si erge solitario, e puo' raggiunge facilmente i 20 metri d'altezza e i 12 metri di diametro. Date le dimensioni, il suo tronco scavato è stato utilizzato come prigione, come chiesa e a volte semplicemente come abitazione per intere famiglie Cresce in aree desertiche e rocciose, animando il paesaggio con la sua insolita, straordinaria forma: un enorme tronco conico e i rami che sembrano radici rivolte verso il cielo.Questo poderoso simbolo dell'Africa, che sembra unire il cielo alla terra, fornisce agli uomini nutrimento e rimedio a vari disturbi e malattie, ma trova anche diversi altri impieghi, anche quando non vive piu’. Inoltre il legno leggero e spugnoso è facilmente attaccabile dai funghi, e se lasciato in acqua per due mesi si disintegra lasciando delle fibre che possono essere usate per imballaggio. Il legno non si taglia facilmente, la forza del taglio viene assorbita dall'elasticita' delle cellule del parenchima. Non è adatto per fare tavole e il carbone che si ottiene non è di buona qualita’ . Il legno puo' essere usato per costruire canoe leggere, piatti, vassoi, galleggianti per reti da pesca

Le sue foglie, i suoi frutti (tra i pochi al mondo naturalmente disidratati a maturazione) e le sue radici nutrono e guariscono. Le foglie, specialmente quelle giovani sono popolari come gli spinaci. Vengono consumate crude, bollite o seccate e polverizzate e inserite in zuppe e salse come legante.Anche le radici trovano un impiego alimentare, ed in particolare in tempo di carestia, quando vengono consumate una volta cotte. In Malawi, la polvere della corteccia di baobab, cosparsa nella ferita di un animale ucciso, provocata da una freccia avvelenata, serve a neutralizzarne il veleno, prima della cottura. In alcuni paesi la corteccia viene usata per la conciatura. La cenere dalla corteccia e dei frutti bolliti in olio viene usata per la produzione di saponi.

Ovunque in Africa, le varie parti della pianta di Baobab sono sfruttate dal punto di vista terapeutico e nutrizionale, e numerosi rimedi basati sul Baobab vengono citati nella farmacopea Tradizionale africana. Praticamente tutte le parti dell'albero vengono utilizzate.

Tratto da: http://www.baobabfruitco.com/

Calpestare un riccio


Ecco lo sapevo, poteva succedere prima o poi di calpestare un riccio… ce ne son in giro cosi tanti nella notte buia, gironzolano placidi in giardino! La sensazione non è delle più piacevoli, sentir gli aculei sotto le ciabatte, e fortuna che avevo quelle! E si che i ricci hanno paura di noi umanoidi dalle lunghe braccia… fortunatamente nessuna spina sotto la pianta del piede, fortunatamente non era uno dei soliti serpenti mensili che vedi strisciare davanti alla porta di casa... african life, hakuna matata!

lunedì 7 settembre 2009

African matako (sedere africano)


Non mi capita molto spesso di massaggiare clienti kenioti dalla pelle color dell’ebano… forse scoraggiati dai prezzi, forse poco sensibili circa il proprio benessere psicofisico… sta di fatto che ogni volta e’ sempre una nuova scoperta.

Avete presente come e’ un sedere da vera Mama Africa? Un sedere di quelli cosi grandi e grossi che sporgono in modo cosi sproporzionato dal corpo che ti chiedi come fa la persona a stare in equilibrio? African matako, sedere africano… ce ne sarebbero di cose da dire!

Cambia il tatto la consistenza e la rugosita’, tutto si modifica in base alle forme e alla propria razza. I corpi africani possiedono piu’ fibra, la pelle e’ piu’ spessa e la struttura muscoloscheletrica e’ un po’ diversa… ma questo sedere era cosi enorme da far impressione.

Ed il bello e’ che qui una taglia small o il culetto a mandolino non fanno assolutamente gola, anzi, a molti (ma non tutti) gli uomini kenioti piacciono le forme da Mama Africa: il sedere che sporge e che morbidamente trasborda, un po’ come la Dea Madre nell’antichita’.

Paese che vai, gusti che trovi.

Lucertole meditative?


Lucertole, lucertole multiforma e multicolore, timide guerriere preistoriche.

Che penseranno mai nei loro momenti di immobile immobilita’?

Proveranno noia? Sapranno cosa e’ la felicita’?

La palma da cocco, come il maiale...


So che non suona ne romantico ne esotico… ma la palma da cocco e’ un po’ come il maiale per gli italiani: non si butta via nulla.

Dall’albero si fabbricano tetti mobili sedie e utensili… con la bava vegetale che probuce l’albero la si usa come spugna per lavare i piatti… utilizzando le foglie si puo’ convogliare l’acqua piovana per poi usarla per bere… bruciando sul fuoco i gusci si allontanano le zanzare… il frutto lo si beve e lo si mangia, la polpa la si usa in cucina… dalla palma si ricava un succo che lasciato fermentare diventa vino… e dimentico di elencare ovviamente gli altri mille usi a me ancora sconosciuti…

Ma lo avreste mai detto? Proprio come per i maiali italici.

domenica 6 settembre 2009

Gli Stati Uniti d'Africa




Gli Stati Uniti d'Africa
di
Abdourahman A. Waberi

In breve

Un mondo alla rovescia. La ricca e prospera federazione degli Stati africani è assediata da profughi in fuga dalle misere e insanguinate terre euroamericane. Una giovane donna bianca percorre la strada inversa a quella che l’ha tratta in salvo.


Il libro

Gli Stati Uniti d’Africa sono una prospera federazione, vi si fanno traffici e affari in moderne megalopoli, automobili di lusso viaggiano sull’autostrada 99, gli uomini sono evoluti e benestanti, tutti bevono l’Africola o il Neguscafè. Alle sue frontiere si accalcano però miserabili profughi, senza casa, cibo e speranza, in fuga dall’Euroamerica, sottosviluppata e funestata da guerre interetniche. Anche Maya, la protagonista del romanzo, ha percorso questo tragitto tempo fa. Nata in Normandia da una donna alcolizzata, è stata adottata da “papà dottore”, come lo chiama lei, un pediatra in missione umanitaria in Francia che l’ha ricondotta con sé ad Asmara. Allevata dalla coppia africana, colta, ricca e compassionevole, che non le ha fatto mancare amore e istruzione, Maya è cresciuta come gli altri africani nel benessere del consumismo. Ha sofferto un po’ di essere una diversa, “faccia di latte” per i compagni di scuola, ma ciò non le ha impedito di trovare una sua strada, coltivare gli studi artistici e diventare una promettente scultrice che esprime nell’arte disagio e aspirazioni. Il dolore tuttavia arriva anche in questo paese felice: dopo la malattia e la morte della madre Maya decide di fare un viaggio a ritroso in cerca della madre naturale e delle proprie origini. Ritrova così l’Europa e i suoi mali, in un duro periplo lontano dalla dolcezza delle coste africane nelle terre tristi e desolate che l’hanno vista nascere, che la sconcertano e la fanno soffrire. Ma forse anche qui un riscatto è ancora possibile. La storia di Maya, in forma quasi di racconto orale, è svolta da una voce narrante che si rivolge direttamente a lei favorendo l’identificazione. Grazie allo scavo in profondità degli stati d’animo e allo stratagemma dell’inversione di prospettiva, Waberi riesce a far sentire come ci si sente dall’altra parte del mondo e come deve apparire l’opulenta vita occidentale agli occhi altrui, in un romanzo originale, ricco di trovate, colorito, che fa riflettere.

Gli Stati Uniti d’Africa è stato pubblicato da Morellini nel 2007.

In avanscoperta a Takaungu







In avanscoperta, una mezza informazione, un pizzico di fortuna… Percorrere strade non ancora percorse, cercare luoghi non ancora visitati, andare la’ dove sembra non esserci nulla, e finalmente trovare qualcosa per cui vale la pena fermarsi… Takaungu (*1) (*2).

Takaungu e’ un piccolo villaggio di pescatori fronte oceano posizionato sulla sponda dell’omonimo creek. La strada sterrata si perde entrando nel villaggio in mille vicoli e vicoletti. Non un turista e nessun uomo bianco all’orizzonte. Tutto e’ fermo come per incanto e la vita scorre lenta al riparo dal sole. Uomini e donne dalla pelle color nocciola sono seduti all’ombra di una qualche pianta o sonnecchiano su qualche stuoia di ukindu intrecciato. E’ il mese del ramadam, tutti son provati dalla fame e dalla sete, niente cibo e bevande alla luce del sole...

In sella alla mia Bajaj mi addentro tra capanne di fango e baracche fatiscenti, ho bisogno di chiedere informazioni... un ragazzo speranzoso di ricevere qualche scellino si presta a farmi da guida, lo carico destinazione creek, uomini dalla lunga tunica bianca tipica muslim e berretto in testa bivaccano pigri su panchine col tetto in makuki cercando di ingannare la fame e lo scorrere del tempo...

L’azzurro dell’oceano sfuma su bianca sabbia per poi confondersi col cielo, canu (canoe ricavate dal tronco di un albero) e dhow (tipiche imbarcazioni swahili a vela) sono a riposo per la bassa marea. Ascolto le loro storie... arabi che dall’Oman son giunti fin qui via mare per caricare schiavi e poi ripartire... il corano che ancora oggi viene letto sia in arabo che in swahili... i tempi delle preghiere e le moschee... la barca a remi di “Caronte” che pagato dallo Stato fa traghettare cose bestie e persone da una sponda all’altra del creek... il riso al cocco e il samaki grigliato... e penso a tutti quei wazungu (uomini bianchi) residenti che sorseggiano calici di vino nel lusso delle loro ville e a tutti quei turisti italici che sforchettano spaghetti nel loro resort fronte mare.

Sorrido e ringrazio di cuore, “Salama alekum”, “Alekum salam”, l’avanscoperta continua...

4 settembre 2009

Roberto Msafiri on the road


(1) Takaungu – Il nome del villaggio nasce da una necessita’ e significa “c’e’ bisogno di unire”, di collegare una sponda all’altra, per permettere alle persone di attraversare l’insenatura evitando cosi km e km di bush…
(2) Prima dell’arrivo degli interessi asiatici (cinesi, giapponesi…) non esistevano ponti sulla costa: la strada finiva dritta in acqua dove ad attenderti c’era una improbabile bagnarola che caricava persone mezzi bestiame e cose per esser trasportate da una sponda all’altra… ora formulando accordi di reciproco aiuto (sfruttamento delle risorse ittiche keniote…la colonizzazione ha cambiato prospettiva, globalizzazione…) hanno costruito ponti.

Shake baby shake


Shake baby shake… move the matako baby! Shake baby shake!!

Un perizoma bianco su pelle suadente nera. Flessuose bellezze si dimenano a suon di rap ragatton e hip hop sulla pista. Un palo su cui srotolare le proprie abbondanze. La security tiene a bada qualche ormone che si e’ mosso di troppo. Dondolii, strisciamenti, luci basse: sono di scena sinuose dee color dell’ebano.


Sabato sera si shekera allo Sturdust.

E allora tutto diviene festa…