mercoledì 28 gennaio 2009

Tiwi (parte 1)





Due giorni off da spendere, una meta da individuare, Tiwi, south cost, lunghe spiagge bianche dove metter i piedi sulla sabbia e tante palme a cui appoggiarsi per guardare il mare…

Tiwi… la località in se’ non e’ eclatante, ma se srotolo le immagini della memoria affiorano tante piccole cose preziose che riempiono gli occhi e che scaldano il cuore…

Le onnipresenti scimmiette che senza troppo timore vengono a far sosta in veranda (le piu’ audaci si spingono sin dentro al cottage!) aspettando (o rubando!) qualcosa da mangiare. E allora mano al coltello e lanci lunghi di buccia di mango, un pezzo a te e un’altro a te, cani gatti oche scimmie e uccelli, in un bestiario di occhi suoni e colori…

Gli slanci di sole e gli spruzzi improvvisi di pioggia …

Il vento dell’oceano che soffia impetuoso…

I venditori di frutta pesce e verdura che in bicicletta vengon a trovarti sino alla veranda del cottage con le loro ceste piene di poche cose da vendere…

Comprare due grossi granchi (vivi!) e andare al ristorante a fianco e chiedere se li possono cucinare per cena… ok, 400 scellini, affare fatto!

Il nulla circondato dal nulla, la quiete (e per certi versi anche l’insicurezza) di non veder in giro nessuno… solo spiaggia e bush a tener compagnia alle strisciate di serpenti sulla sabbia…

Il massaggio sotto l’ombra di un capanno in spiaggia che sfida i granelli di sabbia… mani ruvide che raccontano la vita nel bush e olio di cocco di chissa’ cosa per un’ora di dolce relax pomeridiano…

E la notte di buio e silenzio, la notte che si accende dipingendo nel cielo una moltitudine di stelle che brillano alte nel cielo…

E il giorno dopo… il fiume i baobab la moschea…

Appena arrivato a Tiwi tutto questo non potevo ancora saperlo, dovevo ancora viverlo, grazie Tiwi, la tua semplicita’ riempie gli occhi e scalda il cuore…

Robato on the road


La notte e lo squittio dei ricci


Si dice cosi? I ricci squittiscono?

Nella notte, a farmi compagnia fumando l’ultima sigaretta del giorno, lo squittio dei ricci.

Li vedi correre come palle pungenti nell’erba del giardino col loro buffo musetto circondato l’aculei, si rincorrono, si corteggiano, squittiscono il loro amore annusando l’aria e il sedere della femmina… ogni tanto uscendo di casa in ciabatte si rischia di calpestarne uno, ma sempre meglio un riccio che un serpente del bush…

E poi sei lì e lo vedi, lo striscio che striscia, a terra, veloce, furtivo, askari! Ma il serpente è più veloce delle mie parole…

E’ ricca la notte in Africa, e buia si riveste di suoni, rumoreggi e canti d’amore…

Un cd di musica che consiglio di ascoltare e che ogni tanto fa da sfondo all’ultima sigaretta notturna: Patrizia Laquidara: “Funambola” (2007). Un cd che merita e che fluisce leggero nella notte...

Buon ascolto, Rob

martedì 27 gennaio 2009

Impronte sulla polvere


Tante piccole impronte di piedi sulla polvere accompagnano orme di caprette saltellanti venute a mangiucchiare qualche tenera foglia… e i miei piedi in ciabatte si mischian ai belati trasportati dal vento…

Gennaio 2009, villaggio di Mambrui: tanti jambo e molti sorrisi

Paolo Nori, “Niente”


[NIENTE]

Io non ho niente,
ma questo niente che ho e’ una gran leva

Paolo Nori, tratto da “La vergogna delle scarpe nuove”

Dinosauri


Dinosauri. Quando ne vedi uno subito lo riconosci. Sono cio’ che e’ rimasto di un tempo ormai passato e dimenticato… Coloro che vivono in un tempo non piu’ loro. Persone che vivono un presente che non gli appartiene.

Ieri a Malindi ho visto uno di questi dinosauri: un’anziana signora vistita in abiti tradizionali che camminava in centro citta’ con il seno scoperto, agilmente sgambettante con le tette di fuori…

Ormai non se ne vedono piu’ di queste scene, di questi personaggi, di questi irriducibili dinosauri… la civilizzazione e il progresso, il commercio e le mode, il desiderio di nuovo scansando il vecchio hanno fatto si che i dinosauri si estinguessero, ma non son scomparsi del tutto, qualcuno ancora vive tra noi…

Attraversava la strada con passo sicuro, veloce sulle sue gambe, gli abiti lisi e a piedi scalzi, ruga su ruga in un mosaico di fiera bellezza, lo sguardo vispo e lucente che gli faceva brillare gli occhi.

Dinosauri. Con lo sguardo seguo i suoi passi e mi lascio attrarre dalle sue movenze, e’ bella come il sole, fiera e semplice, figlia di un tempo ormai dimenticato…

Possa la sua memoria vivere per sempre.

Con lo sguardo fotografico, Rob

Hermann Hesse, "Vagabondaggio"


"Noi viandanti siamo tutti così. La nostra smania di vagabondaggio e di vita errabonda è in gran parte amore. Il romanticismo è per metà niente altro che attesa dell’avventura. Ma per l’altra metà esso è impulso inconsapevole a trasformare l’elemento erotico. Noi viandanti siamo abituati a coltivare desideri amorosi proprio per la loro inappagabilità e quell’amore che apparterrebbe alla donna noi lo dissipiamo profondendolo al villaggio e alla montagna, al lago e alla voragine, ai bimbi sul sentiero, al bove, al prato. Noi liberiamo l’amore dall’oggetto, l’amore da solo ci è sufficiente, così come nel nostro vagare non cerchiamo la meta ma solo l’essere in cammino."


Hermann Hesse, "Vagabondaggio"

Intorto sul matatu


Matatu per Mombasa, ore 7:30 del mattino. A fianco del driver due posti liberi, son seduto in quello vicino al finestrino, al mio fianco siede Carol.

I due posti risultano stretti tra i miei 86 kg di carne e la sua abbondante rotondità africana, gomito a gomito affrontiamo due ore di buche rallentamenti sorpassi e strombazzamenti.

Jambo, my name is Carrol, what’s your name?

Sembra presa dal desiderio di comunicare, parla con tutti e si informa di tutto. Lascio uscire quattro parole stiracchiate e distratte, soprattutto disinteressate, cosa vuole questa chiaccherona di primo mattino? Lo scopriro’ poi dopo...

I miei occhi son pieni di sonno, una buca e una curva, il suo peso contro il mio, una buca un colpo di clacson, la sua gamba contro la mia, una buca e un sorpasso, la sua mano che scivola e incontra il mio ginocchio…

Fianco contro fianco spalla contro spalla, musica che scivola nelle mie orecchie, il mio sguardo corre lungo la strada, oltre il finestrino oltre gli imponenti baobab che disegnano l’orizzonte e si perdono in lontananza…

What you do? Where you go?

Lavora presso una villa di italiani a Malindi, sta andando nella sua casa a Voi ed appartiene alla tribu’ Taita. Come molte ragazze Taita e’ carina, una bella giovincella dai dolci tratti, oltretutto e’ socialmente simpatica, ma ora, delicatamente e discretamente, mi ha messo una mano sulla gamba...

Ci sta provando, sorprendentemente con stile, con destrezza quasi all’europea, non come una delle tante malaye (prostitute) che circolano in Malindi alla ricerca del muzungu di turno, Carol ha un suo stile, gentile e garbato, ma e’ mattina e l’ultima cosa che mi frulla nella mente e’ di esser intornato su un matatu...

Carol diabolica e scaltra Carol, scendo a Mombasa e buon proseguimento, mi volto e la folla della stazione dei matatu ha gia’ inghiottito le sue mani lunghe e la sua rotonda sinuosita’ africana... bye bye

Robato on the road

lunedì 19 gennaio 2009

Un Giorno con i Boni


Kenya - Il sole sta salendo sopra la spessa foresta litoranea e le ombre si ritiranoverso la base degli alberi, soltanto le melodie degli uccelli che non sonodisturbate da alcun rumore riempiono l’aria e i Boni scompaiono nellaforesta a caccia di cibo.

Siamo nella Foresta Boni/Dodori, situata lungo la costa all’estremo Nord del Kenya, confinante con la Dodori Game Reserve, nella regione Amministrativa di Basuba, nel Distretto di Lamu, vicino al confine con la Somalia. L’abbiamo raggiunta dopo due giorni di viaggio per incontrare la “Gente del Bush” (terreno cespuglioso).

Sono i Boni, che conducono una vita naturale, semplice e al tempo stesso misteriosa, nella foresta. Questa gente si è stabilita in queste zone molti secoli fa e crede fortemente nel proprio sistema di vita, ancora oggi vive raccogliendo radici, frutta, miele e di piccola caccia. Da quando è stata abolita la cacciagrossa i Boni hanno provato a dedicarsi all’agricoltura, ma l’ambiente in cui vivono non è facilmente accessibile e la minaccia costituita dagli animali selvatici è sempre presente, così questa pratica non è mai stata abbracciata pienamente.

Il timore crescente per la probabile scomparsa diquesta gente del Bush è ormai reale ed è legato fortemente allaforesta. Il loro stesso semplice modo di vita potrebbe portarli all’estinzione.Terribili e inconfutabili statistiche dimostrano che i Boni nel 1989, anno delcensimento, erano 3.395, dieci anni dopo, nel 1999, erano ridotti soltanto a865.
Si crede che i Boni derivino da una popolazione prevalentemente pastoraledella Somalia Meridionale che si stabilì nella foresta Boni/Dodori dove iniziò apraticare la caccia. Molte persone, incluse quelle che vivono sullacosta, non sanno dell’esistenza di queste genti del Bush, che appartengono adun altro gruppo etnico, diverso dai Wasanye e Waliangulo.

Recentemente mi sono avventurato nella foresta per incontrare i Boni e sonorimasto sorpreso della loro povertà, nonostante vivano nellaforesta e vicino alla fertilissima terra del confinante Dodori Creek. La miaavventura in terra Boni è stata unica, ho visto e imparato come vivono esopravvivono queste persone dallo stile di vita umile ed ermetico. Il mioarrivo e la macchina fotografica sembrarono sollevare speranza e curiosità,ma crearono anche agitazione nei giovani e negli anziani.
I Boni sono sistemati in cinque manyattas (villaggi) composti di moltestrutture. Queste sistemazioni cominciarono a formarsi appena due anni fa,dopo che la sicurezza fu ripristinata.
I villaggi di Marigai, Milimani e Basuba sono localizzati lungo la bruttastrada di Mokowe/Kiunga, e Kiunga è inserita profondamente nella forestasenza strada d’accesso.

A Milimani, circa 20 strutture malandate costruite di erba, incontraiBaknune Dhidra, 60 anni, che ha detto: “Noi viviamo cacciando piccoli animali e raccogliendo erbe e radici nella foresta da quando è stata proibita la caccia grossa, tuttavia riusciamo a procurarci abbastanza cibo per sopravvivere”.
Baknune assicura che la foresta è la loro fonte maggiore di cibo e mispiega come ottengono, dalla foresta, una dieta equilibrata che varia da frutta,grassi, verdure e farina. Mentre lotto per esprimermi con un po’ diKiswahili e inglese, Baknune, che è ormai la mia guida nella foresta, mi mostrai diversi tipi di cibo reperibili nell’immenso Bush, dove grandissimi tratti diterreno sono incolti.
“L’albero di Mkarabaka produce frutti commestibili chiamati Aamff e ilmidollo nel suo gambo può essere usato per preparare Chapati con Kama, altrapianta che produce grasso”. Poi mi mostra un’altra pianta chiamata Digh, lecui radici, dice, sono commestibili. “Le radici bollite e poi essiccate sonocome le patate”. Mentre cammino, stando molto attento a dove metto ipiedi, Baknune continua la sua spiegazione sulle piante utili cheincontriamo, “Questo qui è l’albero di Konsoja, produce noci che sonoconsumate in gran quantità dai Boni”.

Ugo

Articolo tratto da:
http://guide.supereva.it/viaggi_safari/interventi/2001/06/49823.shtml

Il bruco e la farfalla


Quella che il bruco
chiama “fine del mondo”
altri chiamano “farfalla”

Frase tratta da “I Cinque Tibetani”, Macro Edizioni

La sostanza dei sogni


Siamo fatti della stessa sostenza
di cui son fatti i sogni

William Shakespeare

La mia vita con l’erede N. 3


Silpa Juma è una donna Luo di quarant’anni, “vecchia” per lo standard africano.
Il suo aspetto è dignitoso, come quello di quasi tutte le donne africane, ma il suo sguardo, fiero e rassegnato nello stesso tempo, dimostra quante traversie abbia avuto nella sua vita. Con voce calma e serena inizia il suo racconto.

Fin dalla morte di mio marito, nel settembre del 1984, sono stata ereditata tre volte. La prima nel dicembre 1984. Avrei gradito stare più lungo senza un uomo in vita mia, ma tale decisione non sarebbe stata presa bene dai membri della famiglia di mio marito e dal suo clan.

Le usanze Luo sono precise, e qualsiasi cosa ad esse contraria avrebbe inviato una maledizione (chira) ed altre sfortune sulla sua famiglia. Silpa Juma avrebbe sofferto del bando psicologico e fisico del clan. Oggi le cose sono cambiate. Mentre prima era l’uomo che si avvicinava per prendere in moglie la vedova di suo fratello, ora è la vedova che deve cercare l’uomo, e di vedove ce ne sono molte. I mariti e gli uomini stanno morendo d’Aids ad una percentuale allarmante.

Dopo un attimo d’esitazione, riprende il suo racconto.

Dopo aver frequentato un cognato, fummo d’accordo sull’eredità e tutto fu concluso tre mesi dopo la morte di mio marito. Stemmo insieme come marito e moglie, sottomettendomi privatamente e pubblicamente a lui, come avrei fatto con il mio defunto marito. Andammo avanti così fino al ‘97 quando tra noi sorse una differenza d’opinioni irrisolvibile. Non mi piacquero molte delle cose che lui faceva, e dissi basta. Aveva altre donne oltre me. Decisi quindi di rompere l’unione perché era divenuta insostenibile.

Trovai perciò un altro uomo che mi ereditò, ma ci fu un intoppo quando venne a “cambiare” la casa del mio defunto marito. Io non potevo “cambiare” casa senza un uomo che compie i riti che vanno fatti in tale circostanza. Com’è praticato fra il Luo, un uomo o una donna che si sono sposati non possono cambiare o costruire una casa da soli. È un tabù, ed io ho i bambini che devo proteggere. Al momento della morte di mio marito avevamo cinque bambini, il numero è aumentato, da allora, ad undici, sei dai tre ereditanti. Questo secondo ereditante non poteva “cambiare” la casa perché viveva ancora in quella di suo padre e non ne aveva una di sua proprietà.

Ugo


Articolo tratto da:
http://guide.supereva.it/viaggi_safari/interventi/2001/12/84347.shtml

La moglie ereditata


In Africa le usanze tribali sono numerose come i granelli di sabbia e sono profondamente radicate in ognuna delle tribù dell’intero continente. Alcune sono semplici da osservare, altre appaiono strane a noi occidentali, altre ancora sono divertenti. Tutte hanno in comune l’obbligo del loro rispetto da parte dei componenti della comunità, in caso contrario, nei casi più gravi, scatta immediatamente la maledizione o il bando dalla comunità stessa.

Tra le tante tradizioni ce n’è una che in tempi remoti era nata con un nobile scopo, ma che con il passare del tempo è cambiata e si è trasformata in un rischio mortale. “Ereditare una moglie” (Wife inheritance) è l’usanza della quale vi dirò.

Questa tradizione della tribù LUO nacque moltissimo tempo fa ed aveva lo scopo di proteggere una vedova, i suoi figli e le sue proprietà. Quando il marito moriva la vedova veniva “sposata” simbolicamente dal fratello del morto o da un cugino o, in assenza di tali parenti, da una persona onorevole al di fuori della famiglia. Lo scopo principale era di provvedere alle necessità della vedova e dei suoi figli, ma anche di mantenere le proprietà all’interno della famiglia. Questo costume non prevedeva assolutamente una relazione sessuale, anche perché l’uomo che ereditava la vedova poteva già essere sposato ed avere dei figli.

Con l’andare del tempo questa tradizione si è in parte trasformata. L’obbligo di “ereditare la vedova” è sempre ferreo e i nuovi pretendenti sono attratti dalle proprietà, ma anche, e soprattutto, dalla possibilità di avere a disposizione una donna con cui soddisfare la loro sessualità. Nonostante l’AIDS stia mietendo vittime ad un ritmo vertiginoso, specialmente in Africa dove in alcune zone si registra una percentuale del 25% di popolazione sieropositiva, questa pratica non mette paura e non scoraggia la “caccia alla vedova”.

Ho raccolto alcune testimonianze di vedove che hanno avuto quest’esperienza traumatica. Alcune sono allucinanti, come quelle di Mildred Bwire Auma, Mary Atieno, Mariam Salim, Rose Hilta Anina, Gladis Erude, delle quali vi racconterò nei prossimi articoli.

Ugo

Articolo tratto da:
http://guide.supereva.it/viaggi_safari/interventi/2001/11/79733.shtml

Khanga, una sentenza da indossare (10)


Dunia ni marifa

Il mondo e’ esperienza

Khanga, una sentenza da indossare (9)


Ndoa ni upendo

Il matrimonio e’ amore

Una curiosa notizia dallo Zimbabwe

Gli africani non finiranno mai di stupirci!

L’autista di un furgone per il trasporto di malati di mente si concedeva una birra in un bar clandestino di Harare, quando però si rimetteva alla guida del mezzo scopriva che i 20 passeggeri, tutti psicopatici pericolosi, erano riusciti a forzare le chiusure e a scappare. Spaventato dai possibili esiti della sua negligenza, l’uomo aveva una brillante idea, si accostava alla fermata dell’autobus ed offriva una corsa gratuita a 20 dei passeggeri in attesa.

Riempito così il mezzo si dirigeva senza esitazioni al manicomio di Bulawayo, dove consegnava gli ignari passeggeri al personale addetto al ricevimento, ottenendo la scarico dei presunti malati di mente. Solo dopo tre giorni di permanenza nel complesso ospedaliero l’inganno veniva scoperto e le sventurate vittime potevano ritornare in libertà.

UGO

Articolo tratto da: “Guide supereva”

Paura in città


Ottobre 2002 - KENYA - Nairobi

Qualche giorno fa, a Nairobi, un leopardo ha gettato nello scompiglio la popolazione quando è stato visto aggirarsi per le vie cittadine. La polizia, subito avvertita, è intervenuta insieme ai ranger del Kenya Wildilife Service (KWS) per catturarlo. Il bellissimo animale, un maschio di circa tre anni, ha giocato a nascondino con le forze dell’ordine per circa tre ore. L’animale, molto scaltro ed intelligente, ha reso il compito degli uomini incaricati di catturarlo, veramente difficile.

Il fatto è iniziato nel quartiere Woodley di Nairobi verso le ore 10 e si è protratto per tutta la mattinata. Dopo l’avvistamento il leopardo si è spostato nella zona di Newbury Court ed è entrato nella casa di Mr. Ng’eno attraverso una finestra. Nascosto dietro un divano, ha iniziato a soffiare rabbiosamente non appena i ranger si sono avvicinati. La signora Janet Ng’eno e la donna di servizio sono rimaste bloccate al piano di sopra. Tutti i tentativi di catturarlo sono falliti, l’animale, troppo intelligente e svelto per le forze dell’ordine, spariva all’improvviso e la caccia doveva iniziare di nuovo.
Falliti tutti i tentativi, per stanarlo si è persino pensato di usare i gas lacrimogeni. È intervenuto anche un veterinario del KWS che ha provato ad addormentarlo sparando una freccia narcotizzante, ma l’arma ha fatto “cilecca”! Infine, quando gli uomini ormai disperavano, un agente è riuscito a trovare l’occasione propizia per sparare sette colpi ed uccidere il bellissimo animale.

Anche in questa occasione il Kenya ha confermato di non avere mezzi e uomini esperti per risolvere problemi anche semplici. L’uccisione del leopardo ha suscitato violente polemiche tra la popolazione, l’esemplare ucciso appartiene ad una specie ormai in via di estinzione a causa della diminuzione dell’habitat necessario e del bracconaggio. Peccato, perché l’uccisione poteva essere evitata!

UGO

Articolo tratto da:
http://guide.supereva.it/viaggi_safari/interventi/2002/09/119672.shtml

A che vi serve la filosofia


A che vi serve una filosofia se non
la potete scolpire, cantare e danzare?

(Zolla)

Fermine


[...] “Scrivere e’ avanzare parola dopo parola su un filo di bellezza, il filo di una poesia, di un’opera, di una storia adagiata su carta di seta. Scrivere e’ avanzare passo dopo passo, pagina dopo pagina, sul cammino del libro. Il difficile non e’ elevarsi dal suolo e mantenersi in equilibrio sul filo del linguaggio, aiutato dal bilanciere della penna. Non e’ neppure andar dritto su una linea continua e talvolta interrotta da vertigini effimere quanto la cascata di una virgola o l’ostacolo di un punto. No, il difficile, per la poesia, e’ rimanere costantemente su quel filo che e’ la scrittura, vivere ogni ora della vita all’altezza del proprio sogno, non scendere mai, neppure per qualche istante, dalla corda dell’immaginazione. In verita’, il difficile e’ diventare funambolo della parola.”

M. Fermine

Chale Island, un’isola da paradiso


Ma voi, su un’isola cosi, non ci vorreste andare immediatamente?

Alla ricerca di nuove mete da esplorare e di fresco ossigeno da respirare, cerco nuove destinazioni e mi spingo sempre un po’ piu’ in la’…

Spulcia che si spulcia, tra libri guide articoli riviste e web, ogni tanto si incontra qualcosa d’interessante… e ho trovato questa foto…

Chale Island è un’isoletta che sfida i fluttui del mare e delle maree, poco più a sud di Mombasa, e su questo sputo di terra strappata al mare, sorge un hotel.

L’hotel del TClub “The Sands at Chale” (www.thesandsatchaleisland.com) si trova in una piccola ma rigogliosa isola, situata a circa 600 mt dalla costa kenyota. Una volta arrivati, gli ospiti saranno immersi nella magnifica flora dell’isola, lontani dalla vita caotica della città; il mare dalle molteplici sfumature, la sabbia fine e la piccola foresta tropicale con all’interno un laghetto, renderanno indimenticabile il soggiorno; un piccolo angolo d’Africa dove ci si potrà rilassare in un ambiente esclusivo e curato nei minimi particolari. Una grande jacuzzi capace di ospitare fino a 15 persone è a disposizione degli ospiti, oltre ad una fitness room, sala massaggi, 2 postazioni internet gratuite, una boutique e un centro medico di primo soccorso. Inoltre un attrezzato centro per sport acquatici, diving «The Crab», con attrezzatura specializzata per praticare immersioni, kayak, e windsurf. In caso di alta marea il trasferimento sarà via mare, in caso di bassa marea via terra (http://www.tclub.com/resort/kenya-the-sands-at-chale/la-struttura.html).

Incredibilmente il numero di telefono dell’hotel non compare sul sito… e sfortunatamente il TClub penso sia uno di quei grandi gruppi viaggi-vacanze in cui tutto è incluso, anche il sorriso…

Chissà se questa isola da tutto incluso, destinata ad un turismo mercificato e standardizzato, sarà capace di appagare la mia curiosità e la mia voglia di esplorazione… la fotografia e il luogo non sono male, ma la struttura dalle mille e una notte sarà in grado di sublimare la mia insaziabile voglia di esplorazione tornando a casa con un nuovo ed affascinante pezzo d’Africa? Chissà…

Nel frattempo mi perdo contando i granelli di sabbia di Robinson Island, incantevole luogo dove nulla e’ incluso e tutto e’ da assaporare, godendo di un angolo di Kenya rimasto selvaggio e incontaminato, lontano da qualsiasi logica turistica e commerciale...

Robato Msafiri on the web

domenica 18 gennaio 2009

L'elefante, tembo







E’ grande e grosso, visto da vicino incute un certo timore, ma e’ cosi bello che vorresti poterlo accarezzare giocando con la sua lunga proboscite…

L’elefante, ndovu o tembo in lingua swahili, e’ un animale pero’ comunque pericoloso a cui bisogna prestare una certa attenzione. Se inizia a barrire e ad allargare le orecchie, beh, non vi rimane che chiudervi sul vostro automezzo e cercare di allontanarvi… sempre che un automezzomezzo l’abbiate!

Durante i safari, spesso si possono ammirare placide famigliole che attraversano la strada con tutta la loro flemmatica lentezza: mamma o papa’ che da capofila ferman tutta l’allegra carovana alzando la proboscite al cielo per annusare l’aria e testare il vostro odore…

La vita media di un elefante si aggira sui 60 anni. Il maschio adulto arriva a pesare sulle 5-6 tonnellate, mentre la femmina non supera le 3,5 tonnellate. L’altezza varia invece dai 2,5 ai 4 metri. La sua alimentazione comprende 200 kg di vegetali al giorno bevendo oltre 300 litri di acqua… mica male per essere un erbivoro!

Una curiosita’: gli elefanti sono i soli animali che non possono saltare. Riescono pero’ benissimo ad accartocciare il vostro automezzo come una scatola di sardine…

Vederli liberi nei loro spazi, nella savana africana, mangiucchiare un ramoscello, abbeverarsi in una pozza d’acqua, fare il bagno per poi dopo, con la loro lunga proboscite, cospargersi il corpo di terra e polvere per proteggere dal sole la loro delicata pelle, beh, e’ una bella emozione.





Ma l’emozione piu’ grande, il fascino dell’Africa che ha pulsato dentro le mie vene, e’ stato poter vedere questi enormi erbovori fuori dai percorsi turistici dei parchi nazionali. Con Thomas, John e qualche altro loro amico masai, ci siam avventurati a piedi nel masailand - ai piedi del maestoso Monte Kilimangiaro dalla punta innevata - per andare alla boma di famiglia, un recinto spinoso fatto di rami d’acacia per protegger se stessi e gli animali dagli attacchi dei predatori… Terra rosso fuoco sotto i piedi, alberi di acacia a perdita d’occhio… sotto un sole cocente valutar le fresche tracce, rimanere in silenzio, ascoltare il vento, accucciarsi a terra per poi scovar a breve distanza un enorme branco… elefanti, tanti, belli e pericolosi, altamente irritabili a causa dei ragazzini del villaggio che per animare le giornate e annoiare la noia giocano a tirargli i sassi per poi scappare e mettersi allegramente a ridere... altro che star in salotto a giocare con la playstation!

Accucciarsi a terra, valutare il vento, sentir il masai rumoreggiare con la bocca e le mani un richiamo, evitar di rimaner chiusi in mezzo al branco, camminare, ascoltare, prudenza, porre molta prudenza, stare a terra, sono li’, a poca distanza da noi, potrebbero sentire il nostro odore se girasse il vento…

Beh, veder un branco di elefanti a piedi, alle falde del Kilimangiaro, in compagnia di un piccolo gruppo di uomini e donne masai, con la sola protezione della loro esperienza e del loro pugnale sotto il vestito, beh ragazzi, questa e’ tutta un’altra cosa… e c’è da gustarsi più volentieri il chai (thè) preparato alla boma

Al prossimo racconto di viaggio!

Robato Msafiri


PS: racconto di viaggio tratto dal safari di ottobre 2008 (Masailand, Amboseli, Tsavo Est & Ovest)






Neve in Val Padana


E’ stata una bella emozione poter ricevere questa foto del 7 gennaio 2009: neve in Val Padana…

Strade innevate, camini accesi, coperte di lana, maglioni pesanti, zuppe fumanti, vetri appannati e fiocchi grossi come albicocche ad imbiancare il paesaggio…

Neve dolce neve, ghiaccio freddo ghiaccio, il ritmo biologico che rallenta, inverno padano…

Qui, a cavallo dell’equatore, dove le onde dell’Oceano indiano schiumano sulla barriera corallina, nemmeno l’acqua che esce dal rubinetto riesce ad essere fredda… a sera, forse, una brezza fresca che tira dal mare riesce a farci mettere addosso una camicia a maniche lunghe… l’Oceano che sembra broda del caciucco, l’ombra che scalda e grondi di sudore… costante, tutto cosi perennemente costante…

Le stagioni, il ciclo della vita che si ripete, neve in Val Padana - in foto la mia strada e la mia casa, Voghera, 6000 km di distanza…anche per quest’anno niente palle di neve…

Robato on the road

PS: Max, grazie per lo scatto

domenica 11 gennaio 2009

Camminando al Sabaki River


Luce bassa su un orizzonte di nuvole rarefatte… l’onda del mare che sulla sabbia disegna percorsi invisibili in cui perdere il filo dei pensieri … sul pelo increspato dell’acqua, la’ dove il fiume incontra il mare, affiorano i corpi paffuti di tre ippopotami in cerca di refrigerio. Mani di pescatori tirano a se’ le reti, ed ad un tratto, in un frollio d’ali, nel cielo si libra uno stormo d’uccelli.

rrr

Italy connection








Italiani brava gente. Italia pizza spaghetti alla bolognese. Italia un bel bicchiere di vino. Italia la nutella nel panino.

Ma… l’Italia è tutta qua?

Come se fosse un fenomeno da baraccone, in Kenya c’è chi la dipinge anche cosi: mafia, italy connection, pistole e doppiopetto.

Foto di un pulmino parcheggiato lungo una strada di Malindi… l’immagine dell’Italia all’estero è anche questo…

rrr

Il gelataio ambulante







Ogni tanto capita di trovarne in giro qualcuno, c’è chi pedala, chi spinge un carretto e chi invece se ne sta seduto sotto le fresche frasche di un albero a contemplare lo scorrere sulla strada…

Il gelataio ambulante…

Mi chiedo che ne rimarrà mai a sera dei gelati che tiene nell’improbabile frigo legato alla bicicletta… quale business per quale piatto di minestra?

Eppure se lui esiste, qualcuno li comprerà, altrimenti la legge della sopravvivenza…

Buon gelato a tutti!!!

Khanga, una sentenza da indossare (8)


Ya nini mwakeraka na nyie sio mlioni weak

(Why are you getting irrited and it’s not you who’s keeping me)

Non esser geloso per il bene altrui

Proverbio Masai



« Trattiamo bene la terra su cui viviamo:
essa non ci è stata donata dai nostri padri,
ma ci è stata prestata dai nostri figli »

Proverbio Masai

venerdì 2 gennaio 2009

Febbre all’equatore


Febbre, male alle ossa, male alle giunture, un peso alla testa che mi stringe in un cerchio di dolore, lieve mal di gola, lo stomaco un po’ sottosopra. Caldo caldo, freddo freddo, brividi, febbre. È mattina, appena sveglio, sotto l’ascella il termometro segna 38°. La temperatura ambientale esterna poco meno.

Andare da Rakesh, fare un vetrino, i sintomi non sono buoni, troppo simili a quelli malarici… Prelievo di sangue, test delle feci, aspettare… aspettare…

Nella sala d’attesa un anziano signore italiano deve farsi pulire una canula vicino al cuore, sembra una farmacia ambulante vista la quantità industriale di farmaci che ha nello zainetto. Una mamma africana col suo piccolo bambino che piange, al braccio ha una sacca di sangue. Una coppia di donne arabe gira per l’ambulatorio come due matrioske. Un anziano signore swahili, un ragazzo italiano che non sa se aver dei calcoli ai reni o chissà cos’altro. Come in tutte le sale d’aspetto c’è chi parla e chi sta zitto.

Mi chiamano, arriva l’esito, tutti i test son negativi. Tiro un bel sospiro di sollievo, niente malaria. Ma sto male, c’è la febbre con tutti i sintomi, e allora che cos’è? Influenza… e mi manda a casa prescrivendomi un antibiotico generico per una infezione generica non diagnosticata alla gola (medicine che tanto non prenderò) e un antidolorifico per le mie ossa doloranti. Che dolor alla cabeza!!!

Letto cuscino letto cuscino, sudare come un salame al sole, letto cuscino letto cuscino, 39° la febbre, pastiglia di aspirina e tachipirina, aspettare, riposare…

Il mattino successivo mi sveglio con poco piu’ di 38 di febbre, i sintomi son sempre quelli, troppo simili a quelli malarici, mi portano a far un altro vetrino, altri test, salve dottor Rakesh, esame delle urine, sembra confermata l’influenza! Questa volta un grande sospiro di sollievo!!! Ma non ho mai sudato cosi tanto in vita mia...

Le ragazze della Garden House si prendon cura di me, frutta fresca e riso in bianco, il natale e’ vicino, troppo vicino per saltare il cenone italo-spagnolo di domani sera... e allora riposo cullato dal vento che suona le verdi frasche della palma da cocco e le cornacchie che insolenti scagazzano sull’albero della papaya...

Buon natale

Il candore e la letizia



Il candore si accosta alla letizia

(anonimo)