domenica 28 settembre 2008

Sensi di viaggio (13)

E i volti, quali volti ci sono nella tua stanza? Il sorriso beffardo di un bambino di Djienne’, con la faccia spolverata di terra? Quello triste di un anziano dogon seduto in mezzo ai suoi campi assetati di pioggia? Gli occhi piegati dalle rughe di una donna etiope?
Quali volti ci sono nella tua stanza? Il tuo allo specchio, forse? Nemmeno ti accorgi di quando invecchia. No, la mente non ha nessuno dei cinque sensi. Nessuno. Sono i sensi a comandare la mente. E hanno bisogno di movimento, come la lampadina di una bicicletta. Bisogna muoversi, muoversi verso quell’orizzonte che non e’ mai abbastanza vicino, eppure segna il limite del nostro sguardo.

Tratto da “Sensi di viaggio”, di Marco Aime’ (Edizioni Ponte alle Grazie)

Sensi di viaggio, di Marco Aime’ (12)

L’immagine di cento fiammelle in equilibrio su piccole lampade ricavate da lattine usate, che illuminano appena le bancarelle del mercato di Bohicon. Il viola malinconico delle Dolomiti quando il giorno le abbandona. I mille volti della sabbia del deserto, pronti a tradire la memoria a ogni batter di ciglia del sole. Era rosa quella duna, un attimo fa. Ora e’ gialla, ma basta distrarsi un attimo e diventera’ grigia.
Il dilatarsi angosciante e tenero del cielo sulla savana, il rosso che rincorre il blu per poi cedere entrambi al silenzio della notte, near come il cuore del papavero.
Quali occhi ha la mente? Come puo’ vedere tutto questo? Puo’ inventarlo? Si, puo’, ma solo dopo averlo visto accadere.

Tratto da “Sensi di viaggio”, di Marco Aime’ (Edizioni Ponte alle Grazie)

Sensi di viaggio (11)

La tua ombra cambia forma in viaggio, si ingobbisce su una duna, si spezzetta nel sole dietro a una grata, si frantuma sui sassi, vibra dal finestrino di un treno, si irrigidisce, lunga, nel tedio di una pianura coperta di brina. Danza su un telo mosso dal vento, si impenna contro una roccia, dando, talvolta, al tuo profilo angoli bizzarri. Vedendo la tua ombra cambiare, ti accorgi che muovendoti non rimani mai uguale.

Tratto da “Sensi di viaggio”, di Marco Aime’ (Edizioni Ponte alle Grazie)

Sensi di viaggio (10)

La mente non ha il senso del gusto. Puo’ sentire il piccante che ti dilata lo stomaco? Il sapore sciacquato del caffe’ in polvere degli aerei che ti da il senso di essere partito. Il frizzare sgasato e metallico delle birre africane che ti regalano qualche attimo di sollievo prima di trasformarsi in sudore che chiama una nuova sete. Lo sfrigolare secco dei piatti cinesi con quel sapore da retrobottega. E quale tenacia, la carne aspra di montone arrostita nel deserto! E il pane cotto sotto la sabbia dai tuareg che scricchiola sotto i denti? Tre giri. Tre giri di the’, con la mano dell’uomo che sale, alta sul bicchiere, con gesto ampio, per lasciar cadere quel filo verde e bollente che si trasforma in schiuma. Amaro come la morte il primo giro. E la mano risale, lenta a lanciare un nuovo arco di the’. Dolce come la vita, il secondo. Dita callose che impugnano la teiera rovente di braci. Zuccherato come l’amore il terzo giro. Sfumature che la bocca impara piano a cogliere, che ricordano quelle della luce sull’orizzonte.

Tratto da “Sensi di viaggio”, di Marco Aime’ (Edizioni Ponte alle Grazie)

Oggi sposi, parte 2 (Tribu made in Kenya)

Tra sorrisi scetticismo e antropologia, curiosità e divagazioni riguardanti il matrimonio e connessi, ciò che è stato e ciò che è tutt’ora, il tutto in salsa made in Kenya. Buona lettura, e fortuna che voi siete wazungu in Italia!

Roby rob


Materiale tratto da: www.kenyacolors.com

TRIBU' MAASAI
Ad una donna Maasai è permesso avere relazioni sessuali prima del matrimonio e mantenerli con i suoi innamorati perfino dopo. Questo avviene perché ad un guerriero (moran), è permesso avere molte ragazze tra quelle non ancora circoncise, d'età compresa tra i nove e i 13 anni che non hanno ancora avuto il ciclo mestruale. Dato che molte delle ragazze sono troppo giovani per avere relazioni sessuali, i guerrieri hanno intimità con loro in altri modi. Tradizionalmente, ad una ragazza Maasai è permesso avere tre amanti tra i morans, uno spasimante, al quale lei prepara il latte, un sostituto, che occupa il posto del primo quando non è disponibile, ed un terzo che sostituisce gli altri due quando non sono presenti.


TRBU' LUO
Il matrimonio ha interessanti pratiche. Il costume per la trattativa di matrimonio è mandare un ghiottone ingordo, un uomo dalla lingua sciolta, un'intermediaria e una persona elegantemente vestita. Il ghiottone è una precauzione perché se la trattativa fallisce e così il matrimonio e c'è una richiesta di dote, le spese avute per intrattenere le persone, saranno probabilmente alte. Il parlatore e l'uomo elegante rappresenteranno molto bene lo sposo alla famiglia della ragazza, e l'intermediaria - normalmente una zia di una delle due famiglie - cercherà di raggiungere lo scopo per tutto il tempo che il complicato costume richiederà.

Una pratica che molti sarebbero contenti di vedere, è il cerimoniale di bastonatura della futura sposa, quando lo sposo viene a prenderla per sposarla.La deflorazione della sposa (ringre nyako), la parte più importante degli sposalizi, era effettuata davanti a quattro testimoni che si trovavano nella capanna. Oggi si limitano a controllare il letto il mattino dopo. Abitualmente se i testimoni non sono presenti, la ragazza è considerata vergine.

TRIBU' BORAN
Per il sesso prematrimoniale la regola sembra essere molto rigida, mentre relazioni extra matrimoniali sono trattate con molta più indulgenza.E' pratica accettata avere relazioni con qualsiasi altra donna sposata, con l'eccezione della moglie di un coetaneo, ma se questo dovesse accadere, non c'è bando o punizione, uccidere una pecora o dare un po’ di denaro al marito offeso, chiuderà la faccenda.
Questa pratica è inoltre soggetta a certe condizioni, se un uomo seduce una donna sposata del suo clan, il marito non può reclamare alcun compenso, ma se lui e il marito appartengono allo stesso clan, è obbligato a pagare i danni all'offeso se colti in flagrante.

TRIBU' KIKUYU
Ai moderni matrimoni Kikuyu, lo "Ngurario" (versare il sangue dell'unione), è ancora in uso con l'uccisione di un capretto come formalità.

TRIBU' SOMALI
La madre e la sorella della ragazza devono provare la sua verginità prima che il marito dorma con lei. Se lui non la trova vergine, lo annuncia scavando una buca fuori della capanna matrimoniale gridando violenti insulti alla famiglia della ragazza. Il vero prezzo è pagato dopo.

TRIBU' SWAHILI
Si afferma che il matrimonio non è una situazione permanente e non fino a che morte non vi separi'. Alcuni antropologi hanno notato che poligamia e divorzi, sono comuni. A parte matrimoni ufficiali (harusi ya rasmi), ci sono anche matrimoni segreti (harusi ya siri), che sono socialmente accettati e possono essere considerati affari d'amore legalmente sanzionati.

Materiale tratto da: www.kenyacolors.com

Oggi sposi, parte 1 (evviva gli sposi!)




Caro cugino

Mi sembra ieri il tempo in cui eravamo insieme a giocare in cortile, il tempo delle prime uscite serali tutti in compagnia, le prime girate in macchina, alcune vacanze, le cazzate dette e fatte… ed ora è giunto anche il giorno in cui ti sposi.

Mi spiace non poter esser lì, a poter festeggiare con te questo passo importante. E a tirarti kili e kili di riso e pasta addosso ridendo nel frattempo sotto ai baffi per tutte quelle cose goliardiche (leggi scherzi del cazzo) che si fanno quando uno si sposa… tipo riempirti la macchina di polistirolo e farla su con tanta e tanta carta igienica, nasconderti varie sveglie per la casa puntandole tutte ad un orario diverse e indecente, organizzarti una caccia al tesoro con le chiavi della tua camera da letto, metterti un dado da brodo nella tubazione della doccia, varie ed eventuali cazzate goliardiche che si fanno per dimostrare la propria partecipazione e il proprio affetto… spero che qualche altro le farà al mio posto!!!

Ed ora la foto dei futuri sposi… Gianluca e Barbara


Che il matrimonio però non sia una catena di pene ma un’unione d’amore!


Se ti dovessi augurare buon matrimonio in lingua swahili te lo scriverei cosi:
MUNGU BARIKI NDOA HII
che in italiano si traduce con “Dio benedica questo matrimonio

Seppur sarò lontano, alzate i calici e fate un brindisi anche per me! Io cercherò sopra un scaffale di un qualche supermarket africano una qualche bottiglia di vino dell’Oltrepò Pavese, la stapperò, riempirò il mio bicchiere, e lo alzerò al cielo brindando a voi…




Auguri agli sposi!!!

Sensi di viaggio (9)

Travel in inglese significa viaggio e ha la stessa radice del francese travail, lavoro, e dell’italiano travaglio. Il viaggiare di Ulisse era fatica, non piacere. Fatica che noi, viaggiatori a piccolo rate, andiamo a cercare in un ritaglio del nostro calendario annuale per sentirci meno automobilizzati. Per inventarci un po’ avventurieri, lasciando a casa alcune delle nostre garanzie quotidiane

Tratto da “Sensi di viaggio”, di Marco Aime’ (Edizioni Ponte alle Grazie)


Decalogo del viaggiatore, di Paulo Coelho

Di Paulo Coelho


Sin da molto giovane ho scoperto che viaggiare era per me il miglior modo per imparare. Ancora oggi continuo ad avere quest' animo da pellegrino. Ecco alcune delle lezioni che ho imparato. Spero siano utili ad altri pellegrini come me.

1) Evitate i musei. Il consiglio può sembrare assurdo, ma riflettiamo un po' insieme: se vi trovate in una città straniera, non è molto più interessante andare a cercare il presente invece del passato? Le persone si sentono obbligate a visitare i musei perché hanno imparato da piccole che viaggiare significa cercare questo tipo di cultura. E' chiaro che i musei sono importanti, ma richiedono tempo e oggettività; dovete sapere cosa volete vedere o uscirete con l'impressione di aver visto una quantità di cose fondamentali per la vostra vita, ma che non ricordate.

2) Frequentate i bar. Qui, al contrario dei musei, si manifesta la vita della città. I bar non sono discoteche, ma luoghi dove la gente va a prendere qualcosa, pensa al tempo ed è sempre disposta a fare una chiacchierata. Comprate un giornale e lasciatevi stare a contemplare il viavai. Se qualcuno attacca bottone, per quanto stupido vi sembri, dategli retta: non si può giudicare la bellezza di una strada guardandola soltanto dall' inizio.

3) Siate disponibili. La miglior guida turistica è qualcuno che abita nel posto, conosce tutto, è orgoglioso della sua città, ma non lavora in un' agenzia. Uscite per strada, scegliete una persona con cui volete conversare e chiedete informazioni (dov'è la cattedrale? dov' è l'ufficio postale?). Se non otterrete alcun risultato, tentate con un' altra persona: vi garantisco che alla fine della giornata troverete un'ottima compagnia.

4) Cercate di viaggiare da soli o, se siete sposati, con il vostro coniuge. Sarà più faticoso, nessuno si occuperà di voi, ma soltanto in questo modo potrete realmente uscire dal vostro Paese. I viaggi di gruppo sono un modo mascherato di stare in una terra straniera parlando la propria lingua, ubbidendo al capo gruppo, preoccupandovi più dei pettegolezzi del gruppo che del posto che state visitando.

5) Non fate paragoni. Non paragonate niente, né prezzi, né pulizia, né qualità di vita, né mezzi di trasporto, niente. Non state viaggiando per dimostrare che vivete meglio degli altri. In realtà, la vostra ricerca è sapere come vivono gli altri, cosa possono insegnarvi, come affrontano la realtà e lo straordinario della vita.

6) Fate come se tutto il mondo vi capisse. Anche se non parlate la lingua, non abbiate paura: sono già stato in molti luoghi dove non c'era modo di comunicare tramite le parole e ho sempre trovato appoggio, orientamento, suggerimenti importanti e anche fidanzate. Alcune persone credono che se viaggiano da sole usciranno per strada e si perderanno per sempre. Basta avere il biglietto da visita dell'albergo e in una situazione estrema prendere il taxi e farlo vedere al tassista.

7) Non acquistate troppe cose. Spendete soldi per cose che non dovete portarvi appresso: buoni programmi teatrali, ristoranti, passeggiate. Oggigiorno, con il mercato globale e Internet, potete avere di tutto senza dover pagare eccesso di peso.

8) Non tentate di vedere il mondo in un mese. E' meglio rimanere in una città quattro o cinque giorni che visitare cinque città in una settimana. Una città è come una donna capricciosa, ha bisogno di tempo per essere sedotta e mostrarsi completamente.

9) Un viaggio è un' avventura. Henry Miller diceva che è molto più importante scoprire una chiesa di cui nessuno ha mai sentito parlare che andare a Roma e sentirsi obbligati a visitare la Cappella Sistina, con altri 200 mila turisti che vi gridano nelle orecchie. Andate pure a visitare la Cappella Sistina, ma lasciatevi vagare tra le vie e le viuzze, sentendo la libertà di cercare qualcosa che non si sa cosa sia, ma che certamente troverete e che cambierà la vostra vita.

Paulo Coelho

Ebano, di Ryszard Kapuscinski (3)

L’odore dei tropici ha qualcosa di diverso e di cui subito cogliamo la graveolenza, la corposita’ vischiosa. Un odore che ci avverte che ci troviamo nel punto della terra dove una biologia esuberante e instancabile lavora, produce, prolifera e fiorisce senza sosta e senza sosta si ammala, si decompone, si tarla e marcisce.

E’ un odore di corpi surriscaldati e di pesce essicato, di carne andata a male e di cassava tostata, di fiori freschi e di alghe fermentate: di cose al tempo stesse gradevoli e ripugnanti, attraenti e disgustose. Un odore che ci arrivera’ dai vicini palmizi, scaturira’ dalla terra infuocata, aleggiera’ sui rigagnoli maleodoranti delle citta’ senza mai abbandonarci: e’ una parte integrante dei tropici.

Tratto da Ebano, di Ryszard Kapuscinski (edizioni Feltrinelli)


Ebano, di Ryszard Kapuscinski (2)

La scoperta principale: quella della gente del posto, dei locali. Come sembrino fatti apposta per questo paesaggio, per questa luce, per questo odore. Come facciano un tutt’uno con essi. Come uomo e paesaggio formino un unicum inscindibile, armonioso e complementare. Come ogni razza sia connaturata al suo paesaggio, al suo clima.

Noi plasmiamo il nostro paesaggio ed esso a sua volta ci plasma i tratti del volto. Tra le palme, nella macchia e nella giungla, l’uomo bianco appare un elemento spurio, incongruo, dissonante: pallido, debole, la camicia madida di sudore, i capelli appiccicati, sempre tormentato dalla sete, da un senso di impotenza, dalla malinconia. E sempre in preda alla paura: delle zanzare, dell’ameba, degli scorpioni, dei serpenti. Tutto cio’ che si muove lo riempie d’orrore, di spavento, di panico.

Per i locali, invece, succede tutto il contrario: dotati di una naturale grazia e resistenza, si muovono a loro agio e liberamente al ritmo imposto dal clima e dalla tradizione. Un ritmo rallentato, che non conosce fretta: tanto nella vita non si puo’ mai avere tutto. Altrimenti agli altri che resterebbe?

Tratto da Ebano, di Ryszard Kapuscinski (edizioni Feltrinelli)

Ebano, di Ryszard Kapuscinski


Non ho parole per descrivere questo libro, altre pagine di reportage e di letteratura che foglio avide, ogni sera, ogni momento libero, per essere rapito ed entrare nella sua avventura.

Ryszard Kapuscinski, e’ nato in Polonia orientale, oggi Bielorussia, nel 1932. Terminati gli studi, sino al 1981 ha lavorato come corrispondente estero dell’agenzia di stampa polacca PAP. Nel corso della sua lunga carriera ha avuto numerosi riconoscimenti. L’Universita’ degli studi di Udine gli ha conferito la Laurea honoris causa in traduzione e mediazione culturale del 2006. E’ morto a Varsavia nel 2007.

Ma non bastano queste poche e scarne parole per definire la sua opera:

R.K. e’ stato un viaggiatore curioso e acuto che si e’ calato nel continente africano e se ne e’ lasciato sommergere, rifuggendo tappe obbligate, stereotipi e luoghi comuni. Va ad abitare nelle case dei sobborghi piu’ poveri, brulicanti di scarafaggi e schiacciate dal caldo, si ammala di malaria celebrale, rischia la morte per mano di un guerrigliero, ha paura e si dispera. Ma non perde mai lo sguardo lucido e penetrante del reporter e non rinuncia all’affabulazione del grande narratore: che parlino di Amin Dada o della tragedia in Ruanda, di una giornata in un villaggio o della citta’ di Lalibela, tassello dopo tassello le pagine di Ebano compongono un vivido mosaico di un mondo carico di inquetudine.


Ed ora la parola alla penna di Ryszard Kapuscinski:

Ho trascorso in Africa diversi anni. Vi andai la prima volta nel 1957 e per i successivi quarant’anni approfittai di ogni occasione per tornarvi. Viaggiavo continuamente. Evitavo i percorsi ufficiali, i palazzi, i personaggi importanti e la grande politica. Preferivo chiedere occasionali passaggi, sui camion percorrere il deserto coi nomadi, farmi ospitare dai contadini della savana tropicale. La vita di questa gente e’ una fatica continua, una tribolazione sopportata con incredibile serenita’ e resistenza.
Questo libro non parla quindi dell’Africa, ma di alcune persone che vi abitano e che vi ho incontrato, del tempo che abbiamo trascorso insieme. L’Africa e’ un continente troppo grande per poterlo descrivere. E’ un oceano, un pianeta a se’ stante, un cosmo vario e ricchissimo. E’ solo per semplificare e per pura comodita’ che lo chiamiamo Africa. A parte la sua denominazione geografica, in realta’ l’Africa non esiste.

R.K.

Ebano, di Ryszard Kapuscinski (edizioni Feltrinelli)

Evviva Barack Obama!

Kisumu (Kenya). Nella terra degli Obama il figlio Americano e’ lo specchio in cui tutti vogliono guardare. Per la liceale timida con il gilet marrone e’ “un modello, la prova che ogni cosa e’ possibile”. La matronale padrona dell’emporio Blackberry ci vede soprattutto “tante, tante magliette vendute”. A detta dei disoccupati che bivaccano scacciando le mosche vicino a un macigno-murale che immortala la visita trionfale di due estati fa portera’, in ordine sparso, “visti gratis per gli Stati Uniti”, “piu’ aiuti economici”, “strade asfaltate”. Neppure il lustrascarpe che compie la sua fatica di Sisifo quotidiana lucidando mocassini sul ciglio polverosissimo della sterrata dubita: “Sara’ un gran bene per il Kenya”. Basta non pretendere esempi pratici se non volete vederlo annaspare, grattandosi la testa e infine gettare lo straccio in segno di resa.

Ma chi ha bisogno della realta’ quando si puo’ avere il mito? Per quelli che sanno leggere, in Swahili, non potrebbe essere piu’ chiaro: baraka, benedizione. Ecco quel che significa per i fratelli africani. Suo padre, con lo stesso nome-destino, e’ stato catapultato dalle stalle delle capre alle stelle di Harvard. Il figlio, che ne ha preso il testimone, rischia di diventare il primo presidente nero alla Casa Bianca. Cosi, con l’espressione serena che occhieggia sulle t-shirt, fa coppia fissa con il premier keniano Raila Odinga nei ritratti incorniciati venduti per strada e tappezza i lunotti posteriori dei matatu, gli ubiquitari minibus, i keniani leggono un sacco di promesse che lui non ha mai fatto.

Kisumu, sulle rive del Lago Vittoria, e’ la citta’ piu’ vicina alle radici degli Obama. Qui il senatore dell’Illinois e’ lo spiritus loci. Basta nominarlo per farsi degli amici. “Wuo Luo”, figlio di un luo, e’ la risposta standard. Un legame di sangue che nessun oceano puo’ annacquare. Un marchio per cui morire, come e’ successo a gennaio ai 1500 uccisi dalla polizia dell’opposta etnia kikuyu perche’ contestavano i risultati delle elezioni.





Per arrivare ad Allego Kogelo, il villaggio dove vive sua nonna e riposa suo padre, mancano ancora una cinquantina di chilometri di mulattiere, mangrovie e terra rossa. Il custode della memoria familiare e’ Malik Adongo, il figlio cinquantenne che “Barack 1”, come lo chiama lui, ebbe prima di partire per l’America, dove conobbe la ragazza del Kansas che gli diede “Barack 2”. Anche lui ha vissuto negli Stati Uniti, e’ diventato commercialista ma il richiamo della foresta che Hemingway celebra in “Verdi colline d’Africa” alla fine ha prevalso. E oggi si divide tra un negozietto di elettronica che serve poche centinaia di anime, un’attivita’ di contabile a Washington, le sue due mogli e otto figli, che cresce in una doppia casetta con mucche indolenti intorno, a pochi metri da dove abita l’ottantasettenne mama Sarah. (…)

Articolo tratto da IL VENERDI di REPUBBLICA - n. 1066 del 22 agosto 2008
Dall’inviato Riccardo Stagliano’




E’ vero, qui la gente e’ contenta ed esulta per Obama, soprattutto quelli appartenenti alla tribu’ luo, quelli dello stesso sangue…
C’e un mio collega che tra lo scherzo e la devozione si definisce ridendo suo cugino, perche’ qui son tutti parenti di qualcuno, la famiglia allargata ha radici estese…
E’ bello anche per me poter pensare ad Obama, un figlio di keniani, di un villaggio sperduto… e’ proprio vero, la vita regala sorprese da sogno. E I sogni posson diventare realta’…

Che vinca il migliore!!!

Roby Rob

mercoledì 24 settembre 2008

Sensi di viaggio (8)

Corpi, tanti, che si sfiorano, si toccano. Profumi di spezie che avvolgono tutto. Mi immagino un suk visto dall’alto, un groviglio di gente che scorre, toccandosi, senza doversi chiedere scusa, senza sentirsi violate, come accade da noi su un autobus affollato. Il limite del nostro corpo si indebolisce, da confine diventa frontiera e la frontiera e’ terra di incontro, di scambio. Pigiati, sfiorati, strisciati, dopo un po’ ci si sente parte di una comunita’, di una specie. Per qualcuno e’ irritante. La corrente di esseri umani ti porta, al suo ritmo, lenta, e ti piace lasciarti trasportare.

Tratto da “Sensi di viaggio”, di Marco Aime’ (Edizioni Ponte alle Grazie)



Matatu (2)

Spulcia che si spulcia, ogni tanto dal web salta fuori qualcosa di interessante… lo inserisco cosi come l’ho trovato

Buona lettura, Robato Msafiri


Tratto dal sito http://www.djemme.com/

Sul glossario della guida Lonely Planet, alla voce matatu, c'è scritto: "minibus con musica ad altissimo volume, capienza apparentemente illimitata e due velocità - fermo e a tavoletta".Il matatu è un furgoncino adibito al trasporto di persone, ed è un'istituzione in Kenya. Il suo nome deriva dal prezzo dei primi matatu in circolazione: tre monete. Estrose scritte fosforescenti che ringraziano the lord e ne ricordano qualche virtù, tendine di pizzo intorno ai vetri, musica assordante e soprattutto un numero impensabile di persone. D'accordo che sulle fiancate è indicato che trasportano 16 passeggeri e che una legge recente ne controlla il rispetto, ma questo vale fino alla periferia di Nairobi e di qualche altra città.

In generale i matatu sono stracolmi, ogni volta sembra impossibile entrarvi, soprattutto con uno zaino, e dopo di te entrano sempre un gran numero di persone e sacchi immensi. Ci sono delle regole sui prezzi, ma non basta un tariffario per indicarli: bisognerebbe includere varianti tipo: pioggia o asciutto, verso la città o nella direzione opposta, strada sterrata oppure asfaltata, mese di dicembre (e quindi turismo), etc. Non sempre è facile prendere un matatu; in città, a Nairobi, nelle ore di punta è necessario aspettare anche più di un'ora (in coda ordinatissima! 'sti inglesi!). E anche dove c'è meno traffico, bisogna stare attenti a prendere quello giusto, bisogna imparare ad ignorare molti (ma non tutti) i consigli che vengono elargiti con veemenza dai ragazzini che affollano le stazioni degli autobus di tutti i paesi e villaggi del Kenya... il primo ragazzino che ti viene incontro potrebbe avere una percentuale se riesce a farti salire su un determinato mezzo, e quindi vale la pena verificare che quello sia davvero il primo in partenza, che non ti stia facendo salire su un matatu a lunga percorrenza se devi percorrere solo 10km, e così via.

Su ogni matatu c'è un autista ed un bigliettaio/procacciatore d'affari, che è sempre la persona seduta più scomoda. Vive attaccato al finestrino con una spalla fuori per aprire al volo il portellone a far salire qualcuno... qualche volta il portellone gli resta in mano, oppure, sistemato un po' grossolanamente, non si apre più. I due posti davanti, alla destra dell'autista, sono i più ambiti, e può valer la pena lasciar partire il matatu precedente se ci si riesce ad assicurare questa posizione su quello dopo. Anche se il posto centrale non ha il poggiatesta e si viaggia con gli addominali tesi. I bambini stanno in piedi, occupano in quattro il posto di due adulti stretti. Ci si addormenta, durante i viaggi lunghi, appoggiati alla schiena di quello davanti. In altri momenti tutti parlano: di politica, di controlli stradali, di velocità di guida, di incidenti, di pioggia.

Tratto dal sito www.djemme.com

Matatu

Non c’è che dire, non c’è confronto, in Kenya per spostarsi puoi pagare cifre elevatissime oppure bassissime. A te la scelta.

Cambia il confort, cambia la sicurezza, cambian soprattutto anche gli odori…

E allora che fare? Che mezzo prendere? Come spostarsi? Come arrivare? Dove investire?

Spesso per scelta, spesso per necessità, io prendo il matatu, una sorta di pulmino a 14 posti che funge da taxi collettivo. 14 posti a sedere… beh, cosi c’è scritto sulla fiancata, poi la realtà africana insegna che si sale fin che c’è posto, e quindi delle volte puoi contare sino a 17-18 persone stivate come sardine, ma se ci son i bambini beh, il numero aumenta…

Il più delle volte sono carrette motorizzate buone per la demolizione ma che per qualche miracolo stradale riescono ancora a circolare e non crollano a terra alla prima buca. Se invece sei nel tuo giorno fortunato, ti può anche capitare di salire su un matatu nuovo fiammante (ma mi chiedo quanto durerà mai in queste condizioni).

Poi ci son quelli di tendenza, i più amati dai giovani. Certe mie colleghe di Nairobi mi raccontano che a volte aspettano anche delle manciate fitte di minuti pur di prender uno di questi. Lo riconosci già da lontano, una tamarrata megagalattica con casse che sputano fuori bongo music a tutto volume, luci fisse colorate o intermittenti, colori fluorescenti metallici o strisciate di bomboletta, aggeggi aggeggini e bamboccioni, adesivi adesivoni e foto sul cruscotto di chissà chi… un qualcosa come la Fiat Ritmo tutta abbardata con i coniglietti che si incucchiettano e l’adesivo onillo... il sogno dei tamarri, questa volta in versione africana.


Il viaggio è veramente economico e sul matatu ci sale di tutto, dai bambini agli anziani, dalle galline agli scatoloni, sin che c’è posto. Delle volte legano ceste di vimini e bidoni di plastica sulla cappotta. E via che si và…

Un breve tragitto può costare dai 10 ai 30 scellini, per viaggi più lunghi puoi pagare dai 100 ai 300 scellini, una nullità se confrontato con i prezzi dei tuc tuc, dei taxi, degli autobus e degli affitta macchine…

Ogni viaggio è sempre una guerra, urlano rubandosi clienti a vicenda, si superano e si sorpassano, e son sempre in due: l’autista che pensa a guidare e a strombazzare, e l’altro che pensa a far salire e a riscuotere. Difficile trasmettervi queste scene di pubblica pazzia.

Come tutti i mezzi in circolazione, nessuno rispetta le più elementari norme stradali, e il buon senso qui acquista un valore speciale: evitare di scontrarsi e di andare fuori strada.

Oltre a questi improbabili matatu, circolano anche macchine sgangherate, motociclette senza casco, scheletri d’autobus, imponenti camion, biciclette cariche di ogni ben di Dio, carretti trainati a mano… e poi una folla oceanica di gente a piedi, chi con le scarpe chi con le ciabatte, i meno fortunati senza ne l’uno ne l’altro.

L’importante è andare, spingersi verso la meta, ed ogni mezzo è buono per raggiungerla…

Buon viaggio!

Sensi di viaggio (7)

<<>> gli amici del Gulliver di Guccini non potevano capire. Cosi’ <<>>. Il viaggio puo’ diventare racconto, un racconto, spesso, spinge a un altro viaggio, ma un racconto non e’ il viaggio.

Tratto da “Sensi di viaggio”, di Marco Aime’ (Edizioni Ponte alle Grazie)


Spiriti nelle tenebre

Il titolo in italiano è: “Spiriti nelle tenebre”, quello in inglese “The ghost and the darkness”.

Uscito nel 1996 con la regia di Stephen Hopkins, questo film racconta l’avventura del colonnello J.J. Patterson nel costruire un ponte ferroviario sul fiume Tsavo, nel bel mezzo della savana keniana.

La storia e’ tratta direttamente dal libro "I mangiatori di uomini di Tsavo", scritto dallo stesso colonnello J.J. Patterson, da cui è stato tratto l’omonimo film con Michael Douglas.

Non ho avuto ancora la fortuna di leggere il libro, ma il film ve lo consiglio.

La vera avventura non e’ stata tanto la costruzione di questo ponte, ma il non farsi sbranare dai leoni...

Ogni giorno ci son nuove aggressioni e non si contano piu’ i morti, gli operari – sia africani sia indiani – hanno una paura folle ed abbandonano presto il campo. Viene chiamato uno scaltro cacciatore e un gruppo di guerrieri masai per risolvere la questione, l’Inghilterra reclama efficenza e rispetto dei tempi ma... ma l’Africa e’ l’Africa e...

Guardate il film o leggete il libro, non voglio rovinarvi lo spettacolo...

Buona visione!


Sognando l’Africa, il FILM

Ho letto il libro e ne sono stato rapito… vorrei ora poter vedere il film, ma so che sara’ un’impresa difficile trovarlo… hakuna matata, verrà il giorno anche per questo, anche se so bene che la parola scritta e le immagini scaturite da un libro difficilmente possono competere in bellezza e poesia con le immagini in pellicola… Sul web ho trovato questa recensione.

Roby Rob and the movies


Tratto da: http://guide.dada.net/kenya/interventi/2003/10/144333.shtml
A cura di Sandro Murtas

SOGNANDO L’AFRICA

Il film che racconta uno spaccato della straordinaria vita di Kuki Gallmann.

Il film è tratto dal libro e dalla vera storia di Kuki Gallmann, donna determinata e coraggiosa pronta a trascorrere una nuova avventura, ad abbandonare le sue inibizioni e ad affrontare i rischi della vita sullo sfondo meraviglioso dei paesaggi africani e dei loro misteri insondabili.
La vita in questo luogo sconosciuto diventa una saga di dolore e gioia, promesse e obiettivi, morte e rinascita. Nonostante tutte le contraddizioni la stessa Kuki si accorge che soltanto il Kenya può regalare certe emozioni e che quel paese rappresenta quello che lei ha cercato per tutta la vita.

Peccato che il film non colga tutte le grandi "emozioni" del libro, tralasciando particolari importanti delle vicissitudini di una donna straordinaria, che ancor'oggi vive e si batte per
tenere intatto un paesaggio che esiste prima dell'uomo, sarebbe diventato un Kolossal...

Sandro Murtas

martedì 23 settembre 2008

Sensi di viaggio (6)

l viaggio, quello vero, e’ fatto di odori. L’odore di terra inzuppata d’Africa dopo le pioggie, l’odore che trafigge certe strade di Bangkok, l’odore di grasso delle citta’ del Medio Oriente, il tanfo di marcio di Bombay, quello dell’umidita’ salmastra dei mari del nord, l’odore di sabbia arida del Sahel, quello di foglie bagnate dei tropici, o del fieno appena tagliato o di una guayava appena morsicata. Gli odori, poi, come la musica muovono i ricordi, ma la mente non ha odore. E casa tua ha sempre il solito odore, il tuo.

Tratto da “Sensi di viaggio”, di Marco Aime’ (Edizioni Ponte alle Grazie)

Hotel Rwanda, una storia vera


Se avete voglia di piangere, se avete voglia di capire, se avete voglia di meglio comprendere il dramma della poverta’ e le lotte intestine del tribalismo in Africa, non dovete perdetevi questo film.

Prodotto da Terry George nel 2005, a 10 anni di distanza dal genocidio compiuto in Rwanda, questa pellicola mostra il dramma di un popolo che nessuno ha voluto aiutare. Troppo povero il Rwanda per offrire interessi economici ai vari paesi imperialisti, troppo povero anche per l’ultimo ex Stato colonizzatore (la Francia?) che non ha mosso un solo dito per intervenire.

Una carneficina compiuta a colpi violenti di macete, corpi squartati e maciullati con odio sconvolgente, il totale menefreghismo dell’occidente per questo sanguinoso massacro tribale che ha sconvolto un intero paese.

L’occidente che osserva disinteressato e silente, come se la morte e le atrocita’ commesse potessero rimbalzargli contro. Ma chi e’ veramente responsabile di tutto questo sangue? Chi ha contribuito a far si che questo genocidio accadesse? Solo l’odio e le rivalita’ tribali dei poveri ruandesi?

Come scrive Ryszard Kapuscinski (giornalista e corrispondente estero, viaggiatore curioso e acuto) “forse si sarebbe evitata la famosa ecatombe se non fosse stato per una telefonata: la richiesta d’aiuto del generale (ruandese) Habyarimana al presidente (francese) Mitterrand.

Delle volte ci sarebbe da vergognarsi a esser europei o americani… che partecipano organizzano o sostengono guerre piu’ o meno dichiarate con l’unico scopo di proteggere o ampliare i propri interessi economici. La Guerra per i potenti del mondo e’ business, una vergognosa scusa per allungare le mani.


A noi rimane questa pellicola tra le tante malvagita’ che lo schermo proietta e che i libri di storia raccontano, ai ruandesi rimane la viva memoria delle atrocita’ subite e/o commesse.

Hutu contro tutsi. Tutsi contro hutu. Da sempre rivali, da sempre in lotta per il potere, da sempre in guerra... Ma questa volta la situazione e’ diversa, perche’ in tre mesi (in solo tre mesi!!!) ci furono da mezzo milione a un milione di morti (!!!), nessuno lo sapra’ mai con certezza. Si racconta che la radio trasmetteva varie volte al giorno l’appello: “Morte! Morte! Le fosse con i corpi dei tutsi (denominati “scarafaggi”) sono ancora mezze vuote. Che aspettate a riempirle?”

Ora regna la democrazia (Ma sino a quando? Come fa una democrazia, o pseudo tale, a perdurare in Africa?) ed attualmente e’ vietato parlare chiedere o classificare i cittadini ruandesi in base alla propria appartenenza tribale, pena l’arresto. Ogni giovedi si va in tribunale per chiedere di trovare – investigando – chi ha ucciso chi, come se fosse un triste giorno della memoria, per processare e non dimenticare.

Pace ai morti e speranza ai vivi. Ora sono in molti che investono in Rwanda, costruendo hotel e alberghi, casino’ e ristoranti, organizzando safari per turisti per mostrare i gorilla delle foreste africane. Molti europei ma altrettanti keniani (appartenenti alla tribu’ kikuyu, i potenti e ricchi del Kenya).

Quando poco meno di un anno fa il Kenya, allo spoglio dei voti per le elezioni politiche, fu teatro della guerra tribale tra gli appartenenti alla tribu’ kikuyu e quella luo, che ha perversato insanguinando il Paese, una mia collega ricevette una telefonata dalle amiche ruandesi che oltre confine leggevano sui giornali le varie atrocita’, commentando e piangendo “mi spiace, queste cose non dovrebbero mai accadere…”

Che la storia possa insegnar a tutti noi qualcosa, aiutandoci a comprendere e a fare meglio, e che non venga invece scritta solo per didascare i fatti.

e pensare che è cosi buono

E pensare che in Emilia Romagna ci son più maiali che abitanti…

Mbuzi ulaya, se non fosse scritto così, i mussulmani neanche si siederebbero al tavolo!

Disgustoso… proibito… peccaminoso… sporco… perché qui in Kenya (forse anche altrove, dove convivono gomito a gomito differenti culture e religioni) c’è da cambiar il nome ad un piatto ed ad un animale per sedersi sotto lo stesso tetto per mangiare.

E pensare che in Italia c’è un business enorme con questo animale, dai prosciutti alle salsicce, dai salami alle pancette, se eliminassimo il maiale dalla nostra penisola, che ne sarebbe della nostra amata cucina? Stinco al forno, succulente costolette, lo zampone e il cotechino a fine anno, i ciccioli, il lardo, la coppa di testa e d’estate, le braciole… per passare dalla matricina alla carbonara.

Ma qui in Kenya altro che pork chop, mbuzi ulaya! Altrimenti il fedele all’Islam non entrerebbe nemmeno dalla porta del ristorante…

Mbuzi è la capra, ulaya vuol dire “da fuori”, quindi una capra da fuori (confine)


Ma dietro ad una proibizione, se intelligente, c’è sempre (almeno lo spero!) un buon motivo. In Medio Oriente, terra dove è nato l’Islam, fa caldo, e il maiale è un animale delicato… beh, non sembrerebbe a vederlo, mangia di tutto e si ruzzola nel fango, ma… ma il maiale se non controllato è soggetto fibrocisti e ad altre schifezze, quindi, perché rischiare a mangiarlo?

In paesi dove i controlli sanitari sono pressoché inesistenti (o non esiston veterinari), in paesi dove per l’animale c’è un alto rischio di contrarre malattie, molto più facile proibirlo, spaventando, vietando…

E cosi fedeli mussulmani, cattolici anglicani e protestanti, seguaci induisti e animasti, ognuno professando la propria religione (ci sarebbe da fare anche il discorso delle vacche…) mangiano ciò che vogliono sedendo ognuno con le gambe sotto lo stesso tavolo.

E mbuzi ulaya sia!!!

Amen…

lunedì 22 settembre 2008

Sensi di viaggio (5)

L’umidita’ che ti sfianca. Ti abbatte mentre tu stai a fissare l’inutile sforzo del ventilatore che agita le sue pale dal soffitto. Il bruciore secco del sole del deserto, lo schiaffo del vento di montagna che si affanna sotto la luna alpine. Il sudore che ti solletica, imbarazzante, la pelle. La polvere rossa di una pista africana che ingessa i capelli, intasa il naso, inaridisce la bocca. Nei sogni non si suda, non ci si sporca, non ci si deve mai lavare.

Tratto da “Sensi di viaggio”, di Marco Aime’ (Edizioni Ponte alle Grazie)



Sensi di viaggio (4)

Il viaggio e’ movimento. Non solo del corpo, anche della percezione. Il viaggio e’ un reinventarsi continuo dei nostri pensieri e dei nostri sensi davanti a paesaggi e volti nuovi.

Tratto da “Sensi di viaggio”, di Marco Aime’ (Edizioni Ponte alle Grazie)

La fissa del cibo

Ci viene cosi bene che sarebbe un peccato farne senza.

E cosi mandrie di italiani in vacanza e di residenti auto-esiliati all’estero, spulciano carte menù e scaffali al supermercato alla ricerca di quell’arte e di quella qualità che tanto piace e ci contraddistingue nel mondo: il cibo italiano.

A dose eccessive diviene una fissa, una droga a cui non è possibile farne a meno. E cosi come funghi spuntano ristoranti e pizzerie del made in Italy e si sdoganano grossi container di prodotti nostrani. Ma c’è anche chi tenta la fortuna e inizia a produrre il proprio business nel paese ospitante, dedicandosi alla produzione di mozzarelle e formaggi, di salsicce e gelati, di pane e di dolci…

Non c’è che dire, siam degli intramontabili buongustai, degli irrinunciabili affezionati alla buona tavola, meglio se nostrana.

Neanche in vacanza rinunciamo a questa travolgente passione, ristoranti e hotel all inclusive scolano spaghetti e condiscono maccheroni deliziando ospiti e commensali.


Tra le file dei residenti c’è chi infila in valigia una succulenta pancetta o una bottiglia di grappa, e chi invece invita parenti ed amici chiedendo loro di portare qualche regalo gastronomico, cercando di non farsi beccare all’aereoporto o allungando scellini per non farsi aprire la valigia…

Tempo fa al ristorante, ordinando un filetto di pesce grigliato, un tizio al tavolo a fianco chiede del pane e salame... osservo curioso la scena, tante belle fette rosate a macinatura media, ed inizio a produrre una certa salivazione... guardo nel menu’ e non c’e', hakuna salame, ma allora da dove salta fuori? Dalla riserva speciale del direttore d’albergo... e lui che mi dice che quelle poche fette gli costan piu’ dell’aragosta....

Lo cantava anche Samuele Bersani: “hai mai provato ad esportare la piedina romagnola?”


Inimitabile Nutella

Watamu. Supermarket da “Mama Lucy”. 350gr al costo di 390 Ks (circa 4 euro). Non ho resistito, un barattolo di Nutella.

C’è da esser fieri a sentirsi italiani, non starò qui a elencare tutte le leccornie che produciamo nel nostro Bel Paese, sarebbero troppe, e sarebbero troppo buone…

Ed una di queste è la Nutella, inimitabile, ineguagliabile, impareggiabile, nel quel di Alba ci hanno visto giusto… e cosi penso ad un caldo chapati o ad un soffice pancake spalmato e arrotolato di densa e cremosa bontà… da consumare ogni tanto, pole pole e kidogo kidogo, nelle serate di vento che spinge l’oceano Indiano. Fortuna che non son tipo da cucchiaio e vasetto in poltrona!

L’italianità per tanti è una mania, ma ho optato per rimanerne immune, cosi da non contribuire eccessivamente a quell’inutile trasporto merci che tanto fa globalizzazione...

Anche se nella mia dispensa potrete trovare olio extra vergine d’oliva italiano, pasta Buitoni o Barilla, lievito per dolci Pane Angeli o Bertolini e ogni tanto del pesto in barattolo, non sono un fanatico dell’italianità all’estero. A differenza di tanti miei connazionali in Kenya, compro caffè locale, biscotti kenioti in stile inglese, olive turche o spagnole, tonno asiatico, e non disdegno una bottiglia di vino del Sud Africa o del sud America… tutto il resto è locale, dalla spesa al mercato a quella nei duka (piccoli shop per locali), facendo spesa grossa tra i prodotti da scaffalatura nei supermarket arabi o indiani.

L’Italia la porto nel cuore, e ogni tanto mi accompagna anche nel piatto...

Alla luce del sole

In Kenya, come per magia, tutto si svolge alla luce del sole, commercianti lavoratori e artigiani (ma anche tanti procaciatori e nullafacenti), allo spuntare dell’alba – sino al tramonto – montano e smontano, imbastiscono e finiscono, creano e vendono, producendo le loro merci e il loro businnes per strada…

Sarte con matasse di fili e machine da cucire, intagliatori di legno con segne e scalpelli, biciclettai con rottami a due ruote, signore con pentoloni giganti che rimescolano ugali e cucinano fagioli… ognuno con cio’ che ha, ognuno con quel poco che possiede, ognuno per quel che il destino e il caso della vita gli ha insegnato e dato da fare per poter campare…


E allora ci si riversa in massa per strada allo spuntare della luce del sole, chi su un marciapiede, chi direttamente in strada, chi sotto l’ombra di una piañta di chinino…

Pole pole si tira la giornata, si conversa, si apprendono notizie, si produce e si vende, si guarda la vita scorrere…

Non c’e bisogno di corrente elettrica e di soldi che mancano per poterla pagare, sotto la luce del sole tutto scorre ugualmente.

E se venisse sera? Allora bastera’ la luce di una candela o la fiamma di una lampada a cherosene…



Sensi di viaggio (3)

E le musiche scatarranti che escono dagli autoparlanti rotti dei venditori di cassette africani? Il furore dei clacson delle metropoli del Terzo mondo, il ronzio pungente e incantatore della voce di un muezzin, l’urlo assordante e irriverente delle cascate Vittoria, il canto sgraziato dei gabbiani in una baia scozzese, lo sferragliare conciliante di un treno, lo scricchiolio di legno di una barca. Il frusciare e il crepitare sospetto della savana di notte, l’assurdo silenzio del deserto. Come puoi sentirli stando li’, dove vivi? La mente non ha orecchie.

Tratto da “Sensi di viaggio”, di Marco Aime’ (Edizioni Ponte alle Grazie)

martedì 16 settembre 2008

Colori che cambiano

Basta cosi poco per cambiar i colori di una città o di un quartiere… il lancio di un nuovo prodotto, il cambio di nome di una grossa compagnia, una nuova campagna pubblicitaria in grande stile, e case baracche bar negozi tutti i muri (disponibili e non già occupati) vengon ridipinti e tinteggiati di fresco in base alle necessità. Perché qui non si tambureggia a suon di giganti cartelloni stradali (verrebbero rubati per fare costruzioni e recinti come per la segnaletica stradale?), ma si tinteggia ciò che si trova.


Dal rosso al violaceo, dal verde al giallo, dal blu al rosso… ogni grande azienda col proprio colore, che si espande sui muri di ciò che per strada incontra...



Per la gioia di negozi negozietti bar case e baracche, tutti i muri si travestono in sgargianti cartelloni pubblicitari, colore su colore, pennellate su pennellate, a riflettere sogni e a far crescere desideri…

Bye bye rosso Celtel, welcome violaceo Zain

Prezzi made in Kenya

Che in Kenya si applichino prezzi variabili in base a chi si ha davanti è cosa ampiamente risaputa.

Un prezzo per i citizen locali, un prezzo per i citizen keniani che vengon da fuori citta’, un prezzo per i residenti bianchi e un prezzo per i turisti - anche se mediamente le fasce di prezzo sono due: bianchi o neri.


I turisti son polli da spennare, i residenti bianchi son mucche da mungere, i citizen kenioti che vengon da fuori citta’ son novelli non sgamati e i citizen locali son quelli che strappano il prezzo piu basso.

In linea generale questa escalation ha un suo senso, pero’ delle volte questa logica si modifica in base a contorte circostanze … perche’ i prezzi sono a totale discrezione del commerciante che li modifica sul momento e a sentimento.


Se entrano nello stesso negozio due muzungu residenti, non e’ detto che si ottenga (per la stessa cosa!) lo stesso prezzo... e non e’ neanche detto che il prezzo di oggi sia uguale a quello di domani... Perche’ oggi c’e il padrone che ti propone un prezzo, domani invece c’e’ la moglie del padrone che ti propone un secondo prezzo, e un’altro giorno ancora invece c’e il commesso con la terza proposta pronta sul piatto... delle volte sembra di giocare a tombola con tutti questi prezzi! Provare per credere!

Delle volte ci riesco, molte volte ci gioco, delle volte temporeggio, altre volte mi incazzo, certe volte ritorno, molte volte me ne vado... anche se oggigiorno spesso e volentieri sono io che strappo il prezzo (a me sembra) giusto. I nativi ci provano, molte volte gli va bene e molte altre volte gli va male, dipende sempre da chi ti capita davanti...


Perche’ per i bianchi il prezzo cambia anche in base al proprio abbigliamento, se si arriva a piedi o in tuk tuk o con la propria macchina, cambia in base alla lingua che parli (italiano inglese o swahili), e cambia soprattutto se gia’ si conosce il valore di quella cosa.


E’ anche vero che a volte si parla di pochi spiccioli, di qualche moneta e di piccoli pezzi di carta, ma son i modi e le intenzioni che fan la differenza, ed è il rispetto che conta. La contrattazione non deve essere avida speculazione, la vendita non deve essere arroganza economica... ne da parte di chi vende ne da parte di chi compra.


Potrei stare ore e ore a scrivere sui prezzi e sulle contrattazioni, perché la vendita è un’arte e gli africani (per certi aspetti) sono sia dei gran maestri che dei pessimi furbacchioni. Certe mattine gironzolo per il mercato e per il centro città con l’idea di curiosare, con la voglia di chiedere senza comprare, osservando questa moltitudine di commercianti nelle loro diverse dinamiche...

E’ bello poter osservare le mille peculiarità di questo teatrino quotidiano della compravendita, ognuno con le proprie sfaccettature.

La vita è un libro fatto di esperienze.

Robato Kikoi

Sensi di viaggio (2)

Pensare il viaggio significa veder scorrere davanti al proprio occhio interiore una metafora di paesaggio. Stando fermi, come davanti a uno schermo. Si e’ registi e spettatori di quel viaggio, non attori. Spostarsi fisicamente, questo fa la differenza.

Essere “tra” e’ il vero senso del viaggiare. Oggi l’aereo ha trasformato il viaggio, lo spostamento in un tempo vuoto di emozioni, un non-momento. Quasi non c’e percezione dello spostamento, del movimento. E’ il transitare, lentamente, a darci l’idea di una terra. L’attraversarla, magari a piedi. <<>>. Cosi scriveva Cesare Pavese ne La bella estate.

Tratto da “Sensi di viaggio”, di Marco Aime’ (Edizioni Ponte alle Grazie)

Seduti sulla sponda del fiume

C’è una logica inversa nel mio scrivere, nel mio comunicare tramite i tasti dell’alfabeto…

Scrivere a voi che siete una moltitudine, silente senza far rumore, per scrivere di rimando a me stesso…

Costruire un castello di carta per imprimere maggiormente nella memoria, la mia.

E cosi si accumulano pagine, immagini, fotografie, mail e post, ma per farne cosa? La mente ha bisogno di inchiostro per ricordare? I ricordi hanno bisogno di bit informatici per funzionare? Chissà…

Non c’è forse una ragione, ma solo impalpabile sostanza, un fiume saturo di parole che scorre…

Che spedisco a voi, che ritornano a me

Buona lettura a chi siede sulla sponda del fiume e osserva

rrr


PS: alcuni miei colleghi sono convinti che stia scrivendo un libro. Io rispondo che la vita stessa è un libro.

A piedi nudi sull’erba

Andare a scuola… tutti rigorosamente con la propria divisa, che varia da scuola a scuola. Giallo-blu, rosso-verde, verde-arancio, rosa-verde, giallo ecc…a quadretti o a tinta unita. L’importante è averne una uguale per tutti i bambini e bambine.


Camminano e camminano, con la loro camicia e con i loro pantaloncini corti, per i più fortunati la scuola è nel villaggio, ma in molti villaggi la scuola non esiste, e allora camminano, con il sole o con la pioggia, attraversando strade urbane o sentieri nella savana, i più grandi aiutano i più piccoli dando a loro un occhio…



È bello poter assistere a questa processione scolastica, ed è ancora più bello poter andare a far visita ad una scuola durante l’orario delle lezioni… tutti che fanno festa, tutti che ti salutano, la stretta di mano dei professori, il jambo dei bambini, ascoltare il canto delle loro canzoni, il tuo cuore che si allarga espandendosi in un abbraccio di gioia e d’amore. Amore per la vita…





Portare dei regali, che siano quaderni o pennarelli, penne o pastelli, una mappa o dei gessetti - una nuova canzone da imparare - qualsiasi cosa che possa essergli utile… perché non c’è gioia più grande di poter spender del tempo con i bambini e poterli aiutare.



E allora penso alla fortuna dei tanti bambini wazungu nei paesi del Primo Mondo, con le loro scarpe nuove, i loro vestiti firmati, lo zaino alla moda, l’inutile cellulare in tasca sempre pronto a spedir messaggini cretini agli amichetti di turno, con il dovere di esser sempre reperibili e sotto controllo da parte dei propri genitori…



Cosa dovrebbero dire e fare i tanti genitori dei tanti bambini masai che abitano nei villaggi vicino al monte Kilimangiaro, che nel tragitto dalla loro manyatta (casa di fango) alla scuola gli può capitare di incontrare un branco di elefanti? (fortuna che nel periodo delle grandi migrazioni le scuole sono organizzate per lasciare a casa in vacanza i bambini) Loro che non hanno distributori automatici di bibite zuccherine e di merendine da spot televisivo ma devono andare al pozzo distante centinaia di metri (magari kilometri) per poter riempire il loro barile d’acqua giornaliero e mangiando magari della polenta coi fagioli?




Conosco genitori a Malindi che vanno a chiedere al preside della scuola se per piacere può accettare i propri figli anche se non hanno l’uniforme obbligatoria perché la famiglia non può sostenere al momento questo costo… Quanta fortuna sprecata nella vecchia Europa e nel Nuovo Mondo…



Con il matatu attraverso i molti villaggi nati sulla strada per Mombasa, bambini che camminano, bambini che sono già a scuola, bambini che si arrampicano sugli alberi, bambini in cortile, bambini che giocano con altri bambini, chi con le scarpe e chi senza, e allora sorrido ai tanti bambini wuzungu (e ai loro premurosi genitori) che all’idea di togliersi le scarpe sull’erba fresca e umida inorridiscono, dicendo che la terra è sporca, che la sensazione dei piedi umidi di rugiada è fastidiosa… blahh!!! A piedi nudi sull’erba! Che schifo sarà mai!



Loro che son figli del cemento e del giardino di plastica, figli dell’erba sintetica e dei parchetti dove far scagazzate il proprio cane da poltrona… l’erba fresca! A piedi nudi!

Quanta distanza tra questi due mondi…


Robato on the road