venerdì 28 novembre 2008

Ebano, di Ryszard Kapuscinski (19)

Ormai erano persuasi che ogni volta che parlavano con qualcuno questi finesse immancabilmente per chiedere loro qualcosa: di fargli avere una borsa di studio, di trovargli un lavoro, di dargli dei soldi. L’interlocutore aveva sempre genitori malati, bambini a carico e non mangiava da vari giorni. Lamentele e piagnistei si ripetevano a ogni incontro: non sapevano piu’ come reagire, si sentivano cascare le braccia. Alla fine, seccati e delusi avevano preso una decisione: niente piu’ contatti, incontri o conversazioni. E ci si attenevano.

Spiegai ai due scozzesi che le pretese dei loro interlocutori derivavano dalla convinzione di molti africani che il Bianco abbia tutto, e comunque che abbia molto, molto piu’ del Nero. E che quando sulla strada appare un Bianco e’ come aver trovato la gallina dalle uova d’oro: deve approfittare dell’occasione, non puo’ permettersi di sprecarla. Tanto piu’ che in effetti molta di questa gente non possiede niente, ha bisogno di tutto e desidera tante cose. Inoltre bisogna considerare la differenza di abitudini e di aspettative.

Tratto da Ebano, di Ryszard Kapuscinski (edizioni Feltrinelli)

Ebano, di Ryszard Kapuscinski (18)

Per questo in Africa di solito non si chiede: “quanti chilometri sono?” ma: “quanto tempo ci vuole?”. Prima di rispondere, uno alza istintivamente gli occhi al cielo. Se c’e il sole, tre o Quattro ore basteranno: ma se e’ nuvolo e minaccia di piovere durante il viaggio, nessuno puo’ dire quando arriveremo a destinazione.
Tratto da Ebano, di Ryszard Kapuscinski (edizioni Feltrinelli)



Come l'elefante riconosce il Masai




Come l'elefante riconosce il Masai


Articolo tratto da: www.lescienze.espresso.repubblica.it

Se è potuto constatare come la velocità di fuga degli animali nel primo minuto fosse notevolmente aumentata in presenza di costumi precedentemente indossati dai guerrieri.

Gli elefanti del Kenya si sono dimostrati particolarmente sensibili alla presenza di persone in grado di minacciarli e secondo una ricerca pubblicata su “Current Biology”, a distinguere i nemici sarebbero principalmente l’odore e il colore dei vestiti. In particolare a spaventare gli animali sarebbe l’odore di costumi precedentemente indossati da guerrieri Masai rispetto ai Kamba.

Tale comportamento può essere interpretato come una sorta di apprendimento culturale, tenuto conto che i primi tradizionalmente dimostrano la loro virilità colpendo con lance proprio gli elefanti, mentre i Kamba sono un popolo di agricoltori, ora in pericolo di estinzione, che non hanno mai rappresentato una seria minaccia per gli elefanti. Inoltre, questi ultimi sembrano rispondere aggressivamente alla presenza di vestiti di colore rosso, tradizionalmente indossati proprio dai Masai.

“Per la nostra ricerca siamo partiti da alcuni racconti che riguardano il comportamento degli elefanti nei confronti dei Masai e della loro bestiame, e pertanto ci aspettavamo di riscontrare una loro capacità distinguere tra differenti gruppi di esseri umani sulla base delle livello di rischio da essi rappresentato”, ha spiegato Richard Byrne dell’Università di St. Andrews e coautore del lavoro.

“E in effetti non siamo stati delusi: abbiamo dimostrato per la prima volta in modo sperimentale come una specie animale sia in grado di suddividere in categorie i potenziali predatori”.

Nel corso dello studio, svoltosi nell’ambito dell’Amboseli Elephant Research Project, i ricercatori si sono presentati agli elefanti con vestiti di colore rosso puliti oppure con vestiti dello stesso colore ma indossati precedentemente per cinque giorni da guerrieri Maasai o Kamba. Si è così potuto constatare come la velocità di fuga degli animali nel primo minuto fosse notevolmente aumentata in presenza di costumi Masai precedentemente indossati dai guerrieri. Tale dato è stato confermato dalla distanza raggiunta dopo cinque minuti di fuga, considerata un indice del tempo dopo il quale gli animali ritiene cessato il pericolo.

In seguito, si è indagato se gli elefanti utilizzino i colori per classificare gli esseri umani in mancanza di un odore di riferimento. Si è trovato così che con costumi di colore rosso le reazioni erano più evidenti rispetto a quelli bianchi, confermando così la diffidenza nei confronti dei Masai. (fc)


(17 ottobre 2007)

Articolo tratto da: www.lescienze.espresso.repubblica.it

Voglio vivere come un masai



Articolo tratto da: http://www.lastampa.it/

Apre il primo villaggio per eco-turisti: niente auto né luce
di DOMENICO QUIRICO

CORRISPONDENTE DA PARIGI
Ecco, lo si può proclamare alto e forte: l’Africa ha sbiadito gli antichi tabù su cui fioreggiavano gli aedi delle perenne minorità di un continente «che non ha saputo ancora entrare nella Storia». E il segno definitivo di questo escatologico trapasso non è l’avvento dell’afropetrolio, o il protagonismo di una società civile finalmente chiassosa, pretenziosa e critica. Non è neppure «l’Africa del telefonino e di Internet», celebrate con interessata enfasi come la rivoluzione industriale del continente.

No, è ben altro. L’Africa ha finalmente scoperto che la vera eguaglianza con l’Occidente dei ricchi e dei furbi consiste nello sfruttare metodicamente i difetti degli antichi padroni, nel riempirsi le tasche con i loro tic attentamente scoperchiati e messi a profitto. Insomma nel vendere specchietti e perline a coloro che con questo resistibile consumismo hanno costruito la Storia (la loro) del mondo. L’Africa, si è detto, entrerà nel terzo millennio quando costruirà una Disneyland in cui gli africani sono alla cassa e gli europei e gli americani sono gli entusiasti clienti. Ebbene a ottobre quel parco dei divertimenti esotico, postcoloniale e politicamente corretto apre i battenti: a Siana nel Sud-Est del Kenya, non lontano dalla acque così vaste che assomigliano al mare del lago Vittoria. Più Africa di così!

Prendete i masai. Che cosa c’era finora di più tristemente e banalmente passatista di questi ex guerrieri ridotti a pastori-comparse, costretti a indossare le loro tuniche rosse come per le prove sotto lo sguardo turistico di una Aida australe, a agitare con la faccia stanca feroce zagaglie prudentemente spuntate? Appollaiati su una gamba scrutavano le loro vacche dagli occhi ottusi, spuntavano nelle cartoline e nelle foto ricordo con la vegetale indifferenza di un acacia. L’Africa dei vinti che più vinti non si può, l’esotismo di Stanley ridotto alla formula dei sette giorni tutto compreso, mare safari e anche la cartolina. Ebbene, sono loro i veri rivoluzionari dell’Africa del terzo millennio. Hanno inventato il villaggio vacanza per l’ecoturista con il casco coloniale, il club per la dura scorza degli iniziati del turismo politicamente corretto, il safari che garantisce un ritorno a casa senza rimorsi, anzi con la benedizione dell’adorato buon selvaggio. Il primo di una serie è in fase di completamento a Siana. Altri seguiranno in tutto il Kenya. Le capanne per gli ospiti sono autentiche, di un indubitabile masai-doc. Rigorosamente edificate con un ingegnoso intreccio di ramaglie e coibentate con sterco di vacca, che mantiene il fresco come il tettuccio di paglia. Le mosche sono verissime e pestifere come è nel loro mestiere di mosche, quando il sole picchia perfino l’ombra è bollente, la sera il buio piomba repentinamente senza darti intervalli, come se qualcuno avesse spento la luce. In compenso nelle capanne gli impianti sanitari funzionano virtuosamente, a energia solare, e la fossa biologica è rigidamente ecologica: nel linguaggio rassicurante dei nostri municipi, si direbbe «a norma».

Perché come accadeva per la natura che deve essere selvaggia ma non troppo, ora l’esotico ha il dovere di presentarsi come innocuo per l’ambiente. Nessuno immagini, a Siana, di partire per il safari (fotografico) in Land Rover: si va a piedi nello sterpame, a guardare le giraffe e le gazzelle, in fila dietro al masai con la lancia protettiva e lampeggiante. Al ritorno niente drink nello stile decadente «breve vita felice di Francis Macomber»: gli ospiti invece sudano a prendersi cura e mungere le vacche. Il latte corretto un po’ ferocemente con il sangue della bestia sgorgante da un sapiente taglio nel collo, bisogna guadagnarselo. Poiché qualche fuoristrada è necessario per arrivare al villaggio disperso nella incomoda savana sono stati piantati alberi in grado di annullare le pestilenziali emissioni di CO2. Il cinquanta per cento del ricavato della settimana-vacanza (duemila euro tutto compreso) sarà destinato a progetti di salvaguardia degli animali selvaggi e di difesa della natura.

Astuti i masai. Hanno capito che il turista del charter distratto e già preventivamente saccheggiato dal tour operator occidentale ha fatto il suo tempo, è specie destinata a un definitivo letargo. Il futuro è l’ecologista raffinato che ha trasferito il linguaggio del sublime in quello del decalogo-eco, l’Ulisse della etnologia alla rovescia. Che vuole spendere ma per sentirsi virtuoso e essere felice. Che gusto c’è ad alleggerire, finalmente, questo uomo bianco del suo fardello!

Articolo tratto da: http://www.lastampa.it/

E al principio Dio creò i Maasai…





Articolo tratto da: http://www.itinerariafricani.net/

Sono sicuramente fra le genti d'Africa i più conosciuti, famosi per il loro coraggio e l'attaccamento alle tradizioni, ai riti di passaggio che rappresentano i momenti fondamentali della vita di ogni Maasai.

" E al principio Dio creò i Maasai..."

Questa frase la dice tutta sul concetto di popolo elitario che li accompagna. Si considerano degli "aristocratici" superiori a tutti gli altri gruppi etnici dell'Africa equatoriale (pare che disprezzino persino gli europei, e forse non hanno tutti i torti!!). Disdegnano ogni forma di attività che non sia legata al bestiame ed effettuano numerose razzie ai bovini delle tribù vicine come i Sonjio (zona del lago Natron) e i Wambulu (a sud di Ngorongoro), e persino contro i Kikuyu (nord/ovest di Nairobi).In un territorio compreso tra il lago Vittoria a est, il Kilimanjaro a ovest e fino a Narok in Kenya (agli inizi del secolo fino a Nairobi), oggi i Maasai portano liberamente o quasi le loro grandi mandrie al pascolo, incuranti dei confini e dei regolamenti imposti dalle autorità governative per proteggere le aree dei parchi nazionali, fonte di sicuro reddito. Per questo a tutt'oggi, vengono allontanati dalle loro terre confinanti con le riserve e costretti sempre più in territori ridotti e confinanti con altri clan, con cui inevitabilmente hanno dei conflitti. E' difficile anche per loro rimanere indifferenti all'avanzare inesorabile della civiltà, al continuo assalto di turisti, che fanno di tutto (pagando anche cifre spropositate) per portarsi a casa il souvenir di una fotografia; nonostante tutto le tradizioni si ripetono ad intervalli regolari per scandire i vari passaggi dall'età puberale a quella virile, e per finire a quella adulta.

Infatti la società Maasai si basa sul raggruppamento di tutti gli individui per classi di età, che così proseguiranno insieme il lento cammino della vita. Quando il bimbo sarà cresciuto abbastanza dovrà iniziare a badare al bestiame vicino al boma (accampamento), poi man mano che cresce gli saranno affidate delle piccole mandrie, ma non prima che i denti centrali in basso siano stati tolti per essere nutrito attraverso il buco in caso di malattie (come il tetano).

Da adolescente riceve una piccola lancia e gli vengono praticati dei fori alle orecchie (prima il destro poi il sinistro); ora sono pronti per il rito della circoncisone che segna forse il momento più importante per un Maasai che diventerà un Morani (guerriero), il cui compito è (sarebbe meglio dire era ) di proteggere il bestiame o di razziarlo ad altri clan simili o a tribù vicine e combatterli se necessario.

Una volta, grande vanto del Morani, era quello di uccidere in combattimento un nemico e di cacciare il leone dalla regale criniera, così da essere stimati e rispettati dall'intera comunità. Oggi tutte e due le cose sono state vietate dal governo centrale, e di conseguenza la funzione del Morani si è un pò svilita e, ai giovani guerrieri, non rimane altro che occuparsi della propria bellezza e degli amori notturni all'interno delle manyatta (accampamenti distaccati dai villaggi) diventate luogo di goliardie e di passatempi.

Lo si può scorgere fermo con una gamba piegata sull'altra nella posizione della cicogna; infatti come i Niloti dell'Etiopia meridionale, i Maasai trovano questa posizione molto riposante!!!

All'età di 20/25 anni i morani entrano nella classe adulta, e con l'eunoto, la cerimonia del taglio dei capelli che viene fatto dalle madri, vanto dei guerrieri. Ora possono sposarsi e sono liberi di procreare. Nel periodo precedente ai morani gli venivano date donne prepuberi e donne post - menopausa proprio per non diventare padre di un bimbo che non avrebbe avuto il diritto di vivere. Per sposarsi bisogna pagare alla famiglia della sposa un ammontare di bovini; l'equazione uomo ricco uguale più mogli esiste ancora, anche se oggi si tende a diminuirne il numero. Le donne fin da piccole possono essere promesse in sposa e, al loro arrivo nel boma, gli viene costruita una capanna di fango, frasche e sterco essiccato. Il numero delle capanne varia con quello delle mogli e dei figli del capo famiglia che deve seguire regole ben precise, come quella di mettere la capanna della prima moglie a destra, la seconda a sinistra e così di seguito una a destra e una a sinistra.Verso i 40 anni l'adulto entra nella classe di età degli anziani diventando così saggio e prodigo di consigli per tutta la società. Per i Maasai (ma così è per tutte le società pastorali), il bestiame rappresenta il centro della vita, ed un bene prezioso soprattutto quando bisogna prendere una o più mogli. Gli animali vengono uccisi solo ed esclusivamente durante i riti iniziatici e le cerimonie; la loro morte ha perciò una valenza sacra.

Il loro credo religioso è tutto rivolto a Ngai, il dio di tutti i Maaasai e creatore di tutte le cose; altra figura importante e il laibon, il profeta (si acquisisce per via ereditaria) che fin da tempi remoti ha influenzato le scelte di questo popolo essendo il mediatore tra loro e Ngai. Essendo una persona di grande prestigio verrà sepolto sotto dei tumuli di pietre, e non abbandonato nella savana (come avviene per tutti) affinché se ne cibino le iene e gli altri animali.

Noi nel profondo del cuore speriamo che questi signori delle steppe (così come tutte le altre etnie) continuino a vivere delle loro tradizioni fieri del loro status. Quando vedremo un Morani sputare per terra, non risentiamoci il suo sputo è un saluto, ma soprattutto un augurio

Galera da fumo


Di Giorgio Rivetti

Charity Ngilu, la “Lady di ferro” del Kenya, ex-ministro della salute, qualche tempo fa aveva spaventato a morte i fumatori con un decreto legge che proibiva il fumo in luoghi pubblici. Tra questi erano inclusi gli spazi all’aperto, se a distanza inferiore a 5 metri da gli esercizi pubblici stessi.

Era stata, tuttavia, una paura di breve durata perche’ il decreto (che prevedeva, tra l’altro l’arresto dei trasgressori colti in flagranza) era subito stato sospeso dalla Corte Suprema del Kenya su istanza delle aziende manifatturiere del tabacco.

Era quindi lecito attendersi che la legge contro il fumo sarebbe, si, ricomparsa ma ridimensionata nei suoi strumenti repressivi e priva dei contenuti terroristici presenti nel primo decreto.

Ma si sa’, nei sistemi africani, moderazione e buon senso, sono spesso sinonimi di debolezza ed ecco che la legge e’ ricomparsa nella sua veste definitiva, ma non affatto ridimensionata, anzi… la facolta’ di arresto in flagranza viene pienamente riconfermata, e non solo: sparisce la norma dei cinque metri di distanza dagli esercizi pubblici ed il divieto di fumare si estende quindi a tutti gli spazi cittadini. Forse (ma e’ solo un’ipotesi) si potra’ fumare all’interno della propria auto, purche’ tutti i finestrini siano rigorosamente chiusi (!!!).

Non fumo da oltre trent’anni e questa disposizione potrebbe lasciarmi indifferente, cosi come potrebbe lasciar indifferenti tutti quelli che, come me, hanno vinto la battaglia contro il fumo, ma, via… la galera per una sigaretta fumata in strada? Non e’ che qualcuno ha totalmente perso il senno?

Ora si dice che in giro per le citta’, ci siano luoghi (naturalmente all’aperto) dotati di cartelli che recitano “Zona per fumatori”, ma dove sono? E non e’ ridicolo che in un punto scelto a caso sotto il cielo si possa fumare ed in un altro no? e come sono delimitati questi confine?

Questa legge, dicevo, dovrebbe lasciarmi indifferente, ma non lo fa. E perche’ non lo fa? Perche’ conoscendo la nota “proibita’” della Polizia del Kenya e la sua insindacabile discrezionalita’ di arresto, chi mi assicura che qualche solerte poliziotto, con senso etico condizionato dal Kitu Kidogo, non mi faccia finire in manette sostenendo che stavo fumando, anche se non e’ vero?

Assoggettare tutori dell’ordine – che tutelano soprattutto il proprio portafoglio – a queste tentazioni e’ un atto che presenta una buona dose di sconsideratezza. Intanto migliaia di persone in Kenya muoiono a causa dell’alcolismo a cui possono tranquillamente dedicarsi dovunque si trovino. Complimenti per l’acume Signori legislatori!


Articolo tratto da OUT OF ITALY

martedì 25 novembre 2008

Come i gatti stesi al sole…



Gli africani sono un po’ come gatti stesi al sole, scanzonati e placidi, imperscrutabili nelle loro gesta e nella loro lentezza, nel loro costante aspettare che qualcosa succeda…

L’oggi è oggi e il domani sarà domani, ieri era un altro giorno…

Fatalisti per necessità e opportunisti per esigenza…

Seduti sulla polverosa terra o sdraiati sul fresche foglie di palma, che carichino incommensurabili fardelli sulla loro testa o che camminino ore e ore sotto al cocente sole, nelle loro gesta e nei loro pensieri vive la semplice semplicità del vivere qui e ora…

Con un jambo sulla punta della lingua sempre pronto da dire…

Sguardi wazungu in terra d’Africa



BREVE PREMESSA
Malindi, città africana dedida al turismo sulla costa keniota.
Kenya, un paese in via di sviluppo nel quel del Terzo Mondo.
Africa, un nome pieno di magia e di contraddizioni…

Un turista muzungu: Arrivato in macchina a Malindi, ho visto per la strada molta povertà… ma non potevano costruire una strada che evitasse di mostrare tutta questa povertà? Una strada che non attraversasse villaggi e baracche? Non è una bella immagine da vedere…

Un altro turista muzungu: E poi non vedo tutta questa felicità nei volti della popolazione locale, non sono tutti cosi felici e sorridenti…

Cosa poter mai rispondere? Come poter mai commentare?

Teletrasportarsi dall’uscita dell’aereoporto sino alla reception dell’hotel?
Creare una superstrada turistica che vale quanto una cattedrale nel deserto?
Organizzare “corsi di benvenuto” alla popolazione locale?
Andare tutti a scuola di sorriso?

Mi accendo una sigaretta e sbuffo nuvole di fumo al vento…

Welcome to Malindi, terra d’Africa equatoriale

Ebano, di Ryszard Kapuscinski (17)

Ancora i bambini. Basta fermarsi in un villaggio, in una cittadina o semplicemente in un campo perche’ subito arriva una masnada di bambini indescrivilmente laceri, coperti di camicine e calzoncini a brandelli. Loro unico bene e nutrimento, una piccolo zucca con dentro un po’ d’acqua. Pezzi di pane e di banana spariscono trangurgitati in un baleno. Per questi bambini la fame e’ uno stato abituale, una forma di vita, una seconda natura. E tuttavia loro non chiedono ne pane ne frutta, e nemmeno soldi.

Chiedono una penna.

Una penna a sfera. Costo: dieci centesimi. Si, ma dove trovarli?
Vorrebbero tutti andare a scuola, studiare. Di tanto in tanto a scuola ci vanno (sedendo all’ombra di un grande mango). Ma, senza una penna, non riescono a imparare a scrivere. Non hanno una penna.


Tratto da Ebano, di Ryszard Kapuscinski (edizioni Feltrinelli)


Ebano, di Ryszard Kapuscinski (16)

La tecnologia moderna si e’ rilevata un valido alleato per questi piccoli (i bambini), regalando loro l’economica e leggera tanica di plastica. Qualche decina d’anni fa questa tanica ha rivoluzionato la vita Africana. Ai tropici l’esistenza e’ condizionata dall’acqua. In mancanza di tubazioni e con l’acqua che scarseggia ovunque, bisogna trasportarla per lunghe distanze, talvolta per varie decine di kilometri. Per secoli a questo scopo si sono usate pesante broche di argilla o di pietra. La cultura Africana ignora il trasporto su ruote, l’uomo trasporta tutto da solo, perlopiu’ sulla testa. Le broche d’acqua venivano portate dalle donne, era un loro incarico nella suddivisione del lavoro domestico. A parte il fatto che un bambino non sarebbe riuscito a sollevarla, in quel mondo di poveri c’era solo una brocca per casa.

Ed ecco arrivare la tanica di plastica. Miracolo! Rivoluzione! Prima di tutto e’ relativamente economica (per quanto in certe case sia l’unico oggetto di valore): costa circa due dollari. Ma l’essenziale e’ la sua leggerezza. Inoltre ce ne sono di tutte le misure, per cui anche un bambino piccolo puo’ portare a casa qualche litro.

Adesso tutti i bambini portano l’acqua. E infatti vediamo continuamente torme saltabeccanti che, giocando e bisticciando, vanno a prendere l’acqua a una fonte lontana. Che sollievo per la donna africana oberata di lavoro al di sopra delle sue forze, che cambiamento nella sua vita, quanto tempo risparmiato per se’ e per la casa!

Ma la tanica di plastica possiede anche un’infinita’ di altri pregi. Uno dei principali e’ quello di sostituire l’essere umano nelle code. Nei luoghi dove passavano le autocisterne si stava in coda per l’acqua giornate intere. Sotto il sole dei tropici stare in piedi e’ una tortura. Un tempo non si poteva posare la brocca e ripararsi all’ombra: era troppo cara per rischiare di farsela rubare. Adesso la coda, invece delle persone, la fanno le taniche e intanto la gente se ne va all’ombra, al mercato o a trovare gli amici. Viaggiando per l’africa si vedono chilometriche file multicolori di taniche, in attesa che arrivi l’acqua.


Tratto da Ebano, di Ryszard Kapuscinski (edizioni Feltrinelli)


Githeri

Ingredienti:
Mais, fagioli, acqua

Preparazione:
cuocere quantità uguali di mais e fagioli in acqua per qualche ora fino a che siano soffici. Servire solo con banane non mature crude, carote o cavolo.

Biriani



INGREDIENTI
1kg di carne (cosce di montone, un taglio magro di manzo, capra o pollo), 1kg di riso, 1kg di cipolle, 1kg di patate, 1 paw paw di dimensioni medie, 300ml di latte fermentato o yogurt, 2 lime, 1 piccolo bulbo d'aglio, piccoli pezzi di zenzero verde fresco, 4 baccelli di cardamomo, 4 chiodi di garofano, 2 barrette piccole di cannella, 1 cucchiaio di semi di cumino, coriandolo e grani di pepe nero, olio per frittura, 1 scatola, la più piccola esistente di pasta di pomodoro.


PREPARAZIONE
Sbucciare il paw paw, rimuovere i semi e grattugiarlo grossolanamente. Schiacciare l'aglio e lo zenzero a formare una pasta. Aggiungere il latte fermentato o lo yogurt ed il succo dei due lime. Mettere a fuoco basso e mescolare ad intervalli. Mentre questo cuoce, macinare tutte le spezie insieme e mettere da parte. Affettare le cipolle e friggere in olio fino a doratura, finché diventino croccanti. Rimuovere dal grasso. Sbucciare e affettare le patate e friggere nello stesso olio fino a doratura. Rimuoverle e metterle da parte, in un contenitore diverso da quello delle cipolle. Controllare la polpa per vedere per vedere se è quasi pronta, quindi aggiungere la scatola di pasta di pomodori. Continuare a cucinare a fuoco basso fino a che la carne sia veramente tenera e che la salsa sia densa e cremosa. E' certo che dovreste aggiungere un po' d'acqua calda prima che la carne sia cotta. Cuocere per altri 15/20 minuti per assicurarsi che le spezie siano miscelate bene insieme. Preparare e cuocere il riso. Mettere uno strato spesso di riso in fondo al piatto a prova di fuoco o alla pentola. Metterci sopra il preparato di carne e coprire completamente con un altro strato di riso. Ora incorporare le cipolle fritte, tenendone qualcuna per le decorazioni e coprire con il resto delle cipolle. Bollire l'olio rimanente e versarcelo sopra.
Prendere le patate affettate e disporle sul bordo del piatto e schiacciarle nel riso. Cospargere con le cipolle tenute da parte. Il biriani può essere servito direttamente nella casseruola, qualora questa sia da portata o, altrimenti, dovrete rimuovere la polpa e la verdura mantenendo gli strati come sono stati cotti e servire su di un grosso piatto.

Ricetta tratta da: http://www.cookaround.com/




lunedì 24 novembre 2008

Ebano, di Ryszard Kapuscinski (15)

L’immagine dell’Africa piu’ diffusa in Europa? Fame, bambini scheletrici, terra riarsa e crettata, bidonville, carneficine, Aids, torme di profughi senza tetto, senza vestiti, senza medicine, senza acqua ne pane.

E il mondo corre in aiuto.

Come in passato, cosi anche oggi l’Africa e’ vista oggettualmente, come il riflesso di un’altra stella, come territorio e campo d’azione di colonizzatori, mercanti, missionari, etnografi, organizzazioni umanitarie (nella sola Etiopia ne funzionano piu’ di ottanta).

E invece, a parte tutto il resto, essa esiste anche in se’ e per se’. un secolare, chiuso continente a parte, dove coesistono boschi di banana, magri campicelli di manioca, giungle, lo sterminato Sahara, fiumi in via di prosciugamento, boscaglie che si diradano, mostruose citta’ malate: una zona del mondo percossa da un’inquieta, violenta carica di elettricita’.

Tratto da Ebano, di Ryszard Kapuscinski (edizioni Feltrinelli)


Proverbio swahili (3)


Mstahimilivu hula mbivu.

A patient man will eat ripe fruits.
Un uomo paziente mangerà frutti maturi.


Tratto da “Bush friendly tips for girls (Boys too!) – Your ultimate safari guide to Kenya”, di Lisa Christoffersen e Suzie Sardelli (traduzione in italiano a cura di Esther e Roberto)


Riempire i vuoti della mente

Una mattina come tante, una mattina in cui i pensieri solleticano come grilli la mia testa sotto il sole… i piedi che affondano nella sabbia mentre la mente divaga sul manto ondulato del mare, alimentando quesiti dalle improbabili risposte… le problematiche dell’essere e della mente umana…

… di quanto i wazungu (in confronto coi nativi) non si sappiano accontentare… di quanto son complicati, di quanto cercan sempre di esser occupati riempiendo i vuoti della mente…

La differenza di cultura, ci pone inevitabilmente di fronte allo specchio della vita.

Proverbio swahili (4)


Iwapo nia, njia hupatikana.

Where there is a will there is a way.
Dove c'è una volontà ci sarà un modo.


Tratto da “Bush friendly tips for girls (Boys too!) – Your ultimate safari guide to Kenya”, di Lisa Christoffersen e Suzie Sardelli (traduzione in italiano a cura di Esther e Roberto)


Tratto da “Bush friendly tips for girls (Boys too!) – Your ultimate safari guide to Kenya”, di Lisa Christoffersen e Suzie Sardelli (traduzione in italiano a cura di Esther e Roberto)

Ebano, di Ryszard Kapuscinski (14)

Ne parliamo dettagliatamente un giorno con A., un vecchio inglese residente qui da molti anni. E cioe’: la forza dell’Europa e della sua cultura, al contrario di molte altre culture, risiede soprattutto nella sua capacita’ critica e soprattutto autocritica, nella sua arte di indagare e di analizzare, nelle sue continue ricerche, nella sua inquietudine. La mentalita’ europea riconosce di avere dei limiti, accetta la sua imperfezione, e’ scettica, dubbiosa, si pone interrogative. Le altre culture sono prive di questo spirito critico. Anzi tendono alla boria, a considerare perfetto tutto cio che e’ loro, sono acritiche nei propri confronti. Attribuiscono la colpa di tutto esclusivamente agli altri, a forze estranee (congiure, agenti, dominazioni straniere sotto varie forme). Interpretano ogni critica come un attacco malevolo, come un segno di discriminazione, di razzismo. I rappresentanti di queste culture considerano la critica come un’offesa personale, come un tentativo deliberato di umiliarli, perfino come un modo di infierire. A dir loro che la citta’ e’ sporca, reagiscono neanche avessimo detto che sono sporchi loro stessi, che hanno le orecchie, il collo e le unghie nere. Invece di sviluppare lo spirito critico, sono impastati di rancori, di complessi, di invidie, di insofferenze, di permalosita’, di manie. Cio’ li rende culturalmente, strutturalmente incapaci di progredire, di creare in se’ una volonta’ di trasformazione e di gruppo.

Le culture africane (perche’ sono molte, cosi come sono molte le religioni) appartengono per caso a questi acritici intoccabili? Certi africani come Sadig Rasheed hanno cominciato a chiederselo, cercando di scoprire come mai, nella gara dei continenti, l’Africa arrivi sempre ultima.

Tratto da Ebano, di Ryszard Kapuscinski (edizioni Feltrinelli)


Il profumo dei fiori

Qualcuno l’ha scritto in qualche libro, qualche altro lo recita a voce, i fiori in Africa non hanno odore…

Come una carezza senza dolcezza, come un bacio senza amore…

Ma cos’è mai un fiore senza odore?

Petali senz’anima e senza ebbrezza, fiori bellissimi multiforme e multicolore…

Come frutti maturi lasciati cadere a terra, mi chino sull’erba e raccolgo un bianco frangipane… portandolo alle narici mi inebrio della sua dolce e fresca fragranza…

Allora non è vero che tutti i fiori in Africa non profumano… basta saper cogliere il fiore giusto e farsi trasportare…

Samosa

INGREDIENTI
2.5 cm di radice di zenzero, 6 spicchi d'aglio, 1kg di agnello magro (o manzo se si preferisce), 3 grosse cipolle, affettate finemente, 1 cucchiaio di mussala, 1 cucchiaio di polvere di curry, 1 cucchiaio di curcuma, sale a piacere, 1 kg di pasta di pane, farina, olio.

PREPARAZIONE
Sminuzzare per bene lo zenzero e l'aglio. Combinare con la carne, le cipolle, il mussala, la polvere di curry e la curcuma. Saltare in una casseruola a fondo spesso, senza aggiungere grassi a fuoco basso per 30 minuti, mescolando occasionalmente e spezzettando la carne. Scartare il grasso. Tagliare i fogli dell'impasto all'uovo in strisce di circa 7.5/15.5 cm. Piegarli per formare una tasca triangolare. Riempire la tasca con del preparato di carne. Sigillare tutti i lati aperti con della pasta fatta con farina ed acqua. Si può terminare con un triangolo di pasta di carne stufata. Friggere in abbondante grasso le samosas ripiene, qualcuna alla volta, nell'olio fino a doratura. Scolare e tenere calde. Dopo la frittura e un veloce raffreddamento le samosas possono essere congelate. Per servirle scaldarle nel forno caldo (200°C) fino a che siano molto calde.

Ricetta tratta da: www.cookaround.com

venerdì 21 novembre 2008

Chapati

Ingredienti
Dosi per 4 persone: 2 Tazze Farina, 1 Cucchiaino Sale, Olio D'oliva

Preparazione
Impastate la farina, il sale e l'acqua fino a ottenere una pasta sufficientemente corposa. Tiratela su una superficie infarinata a forma di una spessa palla. Spalmatela con olio. Dal centro del circolo, tagliate la pasta fino al bordo, piegatela a cono, premete entrambi i bordi e fate di nuovo una palla. Ripetete questo processo 2-3 volte. Dividete poi la pasta in 4 o 5 pezzi e stendete ciascuno in un cerchio sottile. Scaldate una padella a fuoco moderato e passate i chapati sulla padella velocemente. Aggiungete un po' di olio e friggete i chapati fino a farli dorare su entrambi i lati. Caldi o freddi accompagnano piatti di carne o pesce.

Ricetta tratta da: http://www.ricettepercucinare.com




Il reggiseno che dà energia

A cosa può servire un corpetto-reggiseno dotato di pannelli solari? Semplice: ad alimentare un display in grado di far vedere brevi messaggi sotto… il seno!
Ecologico? Questa bizzarra idea della ditta di biancheria intima (Triumph) che in Giappone ha lanciato il “Solar powered bra”. È anche dotato di speciali cuscinetti che possono essere riempiti di bevande fresche, in modo da ridurre il consumo di lattine e bottiglie.

Notizia tratta da FOCUS, N. 190 - http://www.focus.it



Beh che dire? Che siam solamente andati fuori di zucca? Reggiseno a pannelli solari che rispetta l’ambiente perché può ridurre l’uso di bottiglie e lattine? Son senza parole…
Peccato che le ditte e le multinazionali non investano per Africa in energia solare.. qui che di sole c’è ne in abbondanza, qui che la corrente elettrica scarseggia, qui che una parte della popolazione emula o sogna il consumismo capitalista-consumista…
Perché non rendere questa tecnologia (il solare) abbordabile alle tasche dei kenioti? Per le ricariche del cellulare, per le torce, per l’illuminazione… qualcosa certamente c’è e si fa, ma è troppo poco per poterlo considerare un investimento utile… qui che si va ancora a lampade al cherosene ma che si ha in tasca un telefono cellulare di ultima generazione…

rrr

L'angolo swahili

L'angolo swahili



Nella cultura swahili, il giorno inizia all’alba. In Kenya e nell’Africa orientale l’alba accade più o meno alle 6:00 del mattino. Nella cultura swahili il giorno ha 12 ore di luce e 12 ore di notte. Quindi le 7:00 del mattino è considerata la prima ora del giorno (saa mojia asubuhi) e le 6:00 del pomeriggio (saa kumi na mbili jioni/thenashara) è l’ultima ora del giorno. La prima ora notturna è alle 7:00 di sera (saa moja usiku) e la notte termina alle 6:00 del mattino (saa kumi na mbili asubuhi/thenashara). Mezzogiorno (saa sita mchana) è la sesta ora del giorno e mezzanotte (saa sita usiku) è la sesta ora della notte

Tratto dalla rivista “Karibu Kenya”, N. 0
Di Eunice Mukunya Mwai
http://www.embassyofkenya.it/


Fortunatamente (o sfortunatamente) gli orologi, i cellulari, la radio, la televisione, i giornali, il turismo ecc… hanno fatto si che ci si capisca comunque anche con metodologie di classificazione del tempo diverse… basti pensare che i mussulmani adottano un’altro calendario e tutt’altra numerazione degli anni…

Beate le diversità, patrimonio di cultura e ricchezza.

rrr

Proverbio swahili (2)

Uso mzuri hauhitaji marebo

A lovely face needs no adornment.
Un bel viso necessità di nessun adornamento.

Good wine needs no bush.
Il buon vino non ha bisogno di cespugli.


Tratto da “Bush friendly tips for girls (Boys too!) – Your ultimate safari guide to Kenya”, di Lisa Christoffersen e Suzie Sardelli (traduzione in italiano a cura di Esther e Roberto)

Proverbio swahili (1)

Taratibu ndio mwendo

Slowly is the proper way to move
Lentamente è il modo corretto di muoversi

Slow but sure.
Lento ma sicuro


Tratto da “Bush friendly tips for girls (Boys too!) – Your ultimate safari guide to Kenya”, di Lisa Christoffersen e Suzie Sardelli (traduzione in italiano a cura di Esther e Roberto)

Ebano, di Ryszard Kapuscinski (13)

L’usanza imporrebbe di offrire qualcosa all’ospite, ma Vikta e Stone non hanno niente da darci. Il loro vicino Simon, invece, si affretta a portarci davanti un piatto di noccioline. Ma Simon è ricco: possiede una bicicletta e quindi un lavoro. Simon è un bicycle trader. Nel paese le strade maestre sono poche e i camion di passaggio rari. Milioni di persone abitano nei villaggi fuori mano dove i camion non passano mai. Sono i più poveri, i più diseredati. Il mercato e’ lontano, troppo lontano per portarvi sulla testa qualche tubero di cassava o di patata dolce, i caschi di matite (banane verdi) o un sacco di sorgo, ossia la verdura e la frutta che cresce nella zona. Non potendo vendere non guadagnano, e non guadagnando non possono comprare: è l’inesorabile circolo vizioso della miseria. Ma ecco apparire Simon con la sua bicicletta corredata dei più svariati accessori fatti in casa: bagagliai, borse, pinze e supporti, più adatta al trasporto di roba che di persone. Su quella bicicletta, dietro magro compenso (magro, perchè ci muoviamo sempre nell’ambito di un’economia poverissima), Simon (e altre migliaia come lui) trasporta al mercato il carico delle donne, che qui si dedicano al commercio minuto. Dice Simon che più ci si allontana dalle strade maestre, dai camion e dal mercato e più la miseria cresce: i più disgraziati sono quelli che vivono troppo lontano per trasportare le merci al mercato. Secondo lui gli europei che stanno al solo nelle grandi città e si spostano sulle strade principali non hanno la minima idea di cosa sia veramente l’Africa

Tratto da Ebano, di Ryszard Kapuscinski (edizioni Feltrinelli)


Ebano, di Ryszard Kapuscinski (12)

In Etiopia viaggiare in auto e’ una specie di compromesso continuo: tutti sanno che la strada e’ stretta, malandata, ingombra di gente e di veicoli, d’altra parte devono entrarci. E non solo entrarci ma muovercisi, spostarsi, raggiungere le proprie destinazioni. Non c’e autista, guardiano di mandrie o viandante che a ogni istante non si trovi davanti un ostacolo, un rompicapo, un problema da risolvere: come passare senza urtare la macchina che viene in senso inverso? Come far avanzare mucche, pecore e cammelli senza schiacciare storpi e bambini? Come attraversare la strada senza finire sotto un camion, senza infilzarsi sulle corna di un toro, senza rovesciare quella donna con un peso di venti chili sulla testa? E cosi via.

Eppure qui nessuno impreca, maledisce, minaccia. Con pazienza, in silenzio, tutti compiono i loro slalom, le loro pirouette, i loro dribbling: manovrano, girano, spingono e soprattutto avanzano. Se si crea un ingorgo, tutti si industriano a scioglierlo con calma e collaborazione: se c’e calca, millimetro per millimetro risolvono pian piano la situazione.


Tratto da Ebano, di Ryszard Kapuscinski (edizioni Feltrinelli)

Ebano, di Ryszard Kapuscinski (11)

Percorrendo il villaggio mi accorsi come nella tradizione e nell’immaginazione dei suoi abitanti non esistesse il concetto di spazio separato, differenziato, diviso. In tutto il villaggio non c’e’ una siepe, una staccionata, un recinto, una rete, un fossato o un confine. Lo spazio e’ unico, comune, aperto e perfino trasparente: non esistono tende, sbarramenti, muri, non si creano limitazioni a nessuno, non si porgono ostacoli.


Tratto da Ebano, di Ryszard Kapuscinski (edizioni Feltrinelli)

martedì 18 novembre 2008

Mozzarelle italo-tanzaniane




Tratto da FOCUS, n° 190 – Le buone notizie che ci sfuggono

Se in Italia la mozzarella ha avuto qualche problema per colpa della crisi dei rifiuti in Campania, in Tanzania sta avendo un enorme successo.

Provolone. Prodotta localmente insieme ad altri formaggi italiani (fiordilatte, provoloni, caciotte) grazie a un’iniziativa della ong bolognese Cefa, che ha aiutato a creare nel Paese una fabbrica di latticini e ha curato la formazione di chi ci lavora, il formaggio tanzaniano-italiano ha un successo enorme in tutti i ristoranti locali.

Sempre meno analfabeti









Tratto da FOCUS, n° 190 – Le buone notizie che ci sfuggono

Sono ormai solo il 20% dell’umanità. E, entro il 2015, tutti a scuola!

L’alfabetismo sta calando in tutto il mondo. Oggi gli adulti incapaci di leggere e scrivere sono il 20% della popolazione della Terra. Solo 40 anni fa erano il 36%.

In classe! E l’Onu ha fissato l’obiettivo di dare, entro il 2025, a tutti i bambini del pianeta la possibilità di andare a scuola. Naturalmente, il tasso di analfabetismo è molto più alto nei Paesi più poveri (in Africa è al 39% rispetto all’1% dell’Europa) e tra le donne (25% rispetto al 14% degli uomini.





Allah è grande!




Allah è grande! Allah è grande!

Questo viene scritto a caratteri cubitali su tutti i mezzi di trasporto della scuolaguida UNIK.

Allah è grande!

Per tutto il resto, hinshallà… se il cielo vorrà…

L’uomo della bilancia e dell’altezza




Quando passavo lo vedevo seduto sotto l’ombra di un albero, con lo sguardo perso nel vuoto, uno dei tanti che stazionano ai bordi delle strade in attesa che qualcosa succeda… in attesa di qualcuno che passi su quella strada e che voglia quel qualcosa che tu sei disposto a vendere o a fare

Che voglia prender il peso delle persone? O che voglia vender una bilancia? In Africa questo non si può mai sapere… e allora sfodero un sorriso e mi fermo ad attaccar bottone.

In Italia non ho mai capito chi possa esser interessato a prender il proprio peso sulle bilance pubbliche che ci sono per la strada o in farmacia… perché ogni famiglia in Italia ne possiede almeno una da qualche parte, ma qui in Kenya? Qui nelle case (e capanne) non ci son bilance da metter sotto il letto o da tirar fuori dall’armadio, tanto meno sul tappetino di moquette in bagno… Qui non ci sono bilance digitali coi numerini a led o quelle con il piano in vetro Hitech, qui le bilance le possiedono solo chi vende a kilo carne pesce semi frutta e verdura.

E per l’altezza? Ricordo ancora i segni sul muro che la mia mamma faceva per misurare di quanto stavo crescevo…

“Che lavoro fai?”
“Peso le persone e ne misuro l’altezza…”

1 scellino. Pagando 1 scellino (1 centesimo di euro) l’uomo nella foto vi prenderà il vostro peso. E se ci aggiungi 1 altro scellino vi misurerà anche l’altezza…

1 scellino. 1 scellino… ma quante persone devono passare per poter vedere quest’uomo mangiare un piatto di minestra?