venerdì 22 agosto 2008

Rungu masai

I Masai...

I masai sono un capitolo a parte nella storia e nell’evoluzione del Kenya. Temibili guerrieri, indossano ancora oggi i loro abiti tradizionali, fieri eleganti e selvaggi...

Sono amati sia dai turisti (per le immagini da cartolina, neanche fossero delle scimmie a cui dare le noccioline) che dai residenti bianchi (considerati ottimi guardiani). Sono invece derisi o disprezzati da molti citizen kenioti. Buffo vero?

Forse proprio perche’ e’ una delle ultime tribu’ del Kenya (anche se loro non possiedono l’idea di Stato) a vivere “secondo le origini”, senza far troppi compromessi. Non cambiano, non sono mai cambiati e forse mai cambieranno, rimanendo sempre uguali a se stessi. Fieri di essere ciò che sono (ce ne fossero di tribu’ come questa...).

Dovreste vederli per farvene un’idea...


Cugini, parenti, o simili ai masai lo sono anche i samburu, i turkana e i pockot. (e forse qualche altro, ma non e’ importante perche’ non e’ di questo che vorrei parlarvi in questa mail).

Siccome i masai vivono una vita tradizionale sia in citta’ che nel bush, ancora oggi li potete ammirare con i loro preziosi ed inseparabili ausigli: un bastone alto circa un metro e mezzo che all’occorrenza diventa una pericolosa lancia, un pugnale lungo come un braccio seminascosto in una fondina di pelle, oppure un particolare bastone chiamato rungu che penzola tra le rosse vesti. (I masai sono anche gli unici in Kenya che posson circolare liberi e indisturbati con tutto questo armamentario di cose addosso. Privarli di questo sarebbe un affronto, forse una castrazione – pero’ vi puo’ anche capitare di vedere bambini con in mano un panga, un coltellaccio simile ad un macete!)

Allora domando un po’ in giro, voglio possedere un rungu anche io. Fermo qualche moran (giovane guerriero masai) ed i primi iniziano a tirarmi fuori tutte le “ine” che si portano appresso (collanine cosettine e minchiatine di perline fatte a mano, una delle loro fonti di sostentamento sulla costa, oltre ovviamente agli spettacoli danzanti). Sbobbo noncurante tutte le “ine” considerandole souvenir per turisti (anche se non lo sono! Perché son quelle che indossan pure loro!), e chiedo ai vari moran di mostrami il proprio rungu, che pero’ li trovo qualitativamente scadenti o totalmente rovinati. Poi pero’ la fortuna gira e mi capita di incontrare Moses...



Moses e’ un askari che staziona davanti ad un famoso ristorante di Malindi. Per lui niente arco con le freccie (una delle armi preferite da molti altri guardiani), ma rungu e pugnale pronti all’uso. Oggi pero’ non ha con sé il suo rungu, anche se non capisco tutto tanto bene a causa del suo inglese veramente scarso, ma mi dice di aver pazienza, non e’ mai andato a scuola... cosi ci diamo appuntamento per l’indomani mattina, e mi chiedo se avremo mai lo stesso concetto di tempo...

La mattina arriva e fortunatamente anche lui e’ li’, oltre ovviamente ad altri suoi amici masai. Jambo, Jambo, si parte con i convenevoli, ma l’unico che capisce (capisce?!) l’inglese e’ proprio Moses. Tutti mi vogliono regalar qualche “ina”, non so cosa fare, non so cosa voglia dire nella loro cultura dare un rifiuto, poi proprio Moses si sfila dal collo una collana e me infila al collo... mi dice che da questo momento siamo amici. Mi abbraccia, e’ felice, e il suo odore pungente mi rimane incollato addosso...

Si sfila il rungu da sotto le vesti, e’ proprio bello (sarà suo o l’ha comprato per me? Dice che glielo ha dato il suo babbo, ma mi suona come una innocua bugia...), con la palla tonda e un manico dritto senza crepature, lo prendo in mano, sento che e’ ben bilanciato, lui mi osserva, me lo prende dalle mani e con un pugnale intarsiato (vorrei comprare anche quello!) inizia a sfregarlo, dimostrandomi che è legno buono non pitturato… ok, ora il prezzo. Cerco di farlo io, e quando gli dico 500 Ks accetta, non pensavo fosse cosi facile, i masai sono famosi per triplicare all’ennesima potenza i prezzi… che io sia diventato suo amico? Chissà… però mi chiede 100 scellini per andare a prender qualcosa di caldo (piove a catinelle e fa freddo!), invitandomi ad unirmi a loro per prendere il chai (il thè), ma questa volta rifiuto con garbo elargendo una scusa sul momento…

E cosi’, felice e contento, torno a casa con il mio rungu in mano, da metter sotto al letto, da portare in Italy come ricordo, da portarmi appresso nel mio girovagare solitario per le strade e le notti del Kenya…

Ce ne sarebbero tante di cose da scrivere sui masai, storie di fratellanza e di rispetto, ma anche storie che sembran barzellette… perché son cosi belli e orgogliosi che poco importa se li troverete comodamente seduti al bar a bere una coca cola, oppure a girovagare dentro ad una discoteca in cerca di…

Beh alla prossima puntata! Che questa è tutta un’altra storia…

Supa masai!!! Che in lingua masai significa: ciao masai!!!

1 commento:

Lupo Alberto ha detto...

chi conosce è fortunato chi sa apprezzare è unico bravo visitare è la cosa culturale migliore