mercoledì 22 ottobre 2008

Khanga

Il khanga o kanga, che in lingua swahili significa guinea fowl, cioè faraona per i colori sgargianti, è un tipico indumento indossato in passato dalle donne di Zanzibar, diffuso oggi in Tanzania e nell’Africa orientale. Si tratta di un tessuto di cotone coloratissimo di forma rettangolare, lungo un metro e mezzo e largo un metro che le donne indossano sopra le gonne o come scialle. Questo tessuto arrivò in Tanzania per la prima volta intorno al 1860 grazie ai fitti rapporti commerciali con gli arabi e gli indiani. Oltre ad essere un capo di vestiario, si dice che il khanga sia soprattutto un mezzo di comunicazione specificatamente femminile. Sul tessuto, infatti, sono riportati proverbi o messaggi in lingua swahili di tipo sociale, politico, religioso e sessuale, che danno alle donne la possibilità di esprimere il loro punto di vista senza esporsi in maniera diretta

Tratto da AFRICA 5 – http://www.nigrizia.it

Proverbio africano

Al tribunale non si porta un coltello che taglia, ma un ago che cuce.


Tratto da AFRICA 5 – http://www.nigrizia.it

Ugali



L’ugali è un ingrediente fondamentale in molti piatti della cucina africana, soprattutto nell’Africa del sud e orientale. Questo piatto è preparato con farina di mais e acqua attraverso un procedimento molto semplice: è necessario portare ad ebollizione l’acqua e versare la farina mescolandola per cinque minuti fino a formare un mucchietto. L’ugali è pronto quando si staccherà facilmente dalla casseruola e non sarà appiccicoso. Assomiglia molto alla polenta italiana e costituisce il piatto principale della dieta di milioni di africani. Il suo nome cambia nei vari paesi dell’Africa.

Tratto da AFRICA 5 – http://www.nigrizia.it


In Kenya viene anche chiamata “sima”. Seppur è un piatto molto semplice che si mangia come per gli italiani il pane (i carboidrati riempiono la pancia e sfamano il mondo!), farlo bene richiede comunque un certo impegno, mescoli e mescoli sul calderone. Mangiato senza accompagnamento è di una tristezza incredibile. Si accompagna con la carne o con del pesce o con delle semplici verdure, l’importate è che ci sia un po’ di “pucia pucietta” per inumidire e far la scarpetta… Conosco colleghi che lo mangerebbero tutti i giorni perché riempie la pancia come nessun altro… e son in molti in Kenya lo mangiano, visto che han solo quello sulla tavola!!!

Polenta Rob

Farsi belle con lo scrab

Ogni tanto rimango li’, incredulo, chiedendomi cosa sia mai l’Africa e il concetto della poverta’...

Spendere dei soldi per comprar un bodyscrab gia pronto e confezionato alle granaglie di noccioli d’albicocca o ai semi di papaya invece che rovistare in cucina preparando un impasto economico ed eco-casalingo...

IO: Ma perché non provi con l’unga? (la farina per preparar l’ugali, la polenta keniota) ci aggiungi dell’olio d’oliva e vedrai che ti viene la pelle liscia come il culo di un bambino… oppure del sale… magari un po’ di miele... semplicemente facile ed economico...

LEI: No, no che non posso, non si può fare, in Africa c’è gente che ha fame e che non ha nemmeno un pugno di farina da mangiare ed io dovrei buttar via del cibo per pulire e far bello il mio corpo?

IO: ma risparmieresti i soldi che non hai in tasca, spenderesti 1 invece che 5!

LEI: ma tu sei matto, in Africa queste cose non si fanno...

La risposta di LEI non e’ un caso isolato e nemmeno una voce fuori dal coro. E’ un principio, una mentalita’ di rispetto, uno stato delle cose. “Questa cosa non si fa e non si puo’ fare, non va bene”. Solo chi sa’ o ha visto in faccia la poverta’ puo’ capire...

C’e’ sempre un qualcosa da imparare in questa Africa. E cosi osservo il farsi belle, per piacere a se stesse e ai propri uomini, rispettando cio che in Africa e’ prezioso, il cibo.

PS: qualcuno aggiunge anche che Dio non sarebbe affatto contento...

Jambo, Jambo bwana

Sara’ pure un tormentone sulla bocca di tutti, potra’ piacere o non piacere... ma e’ l’inno keniota del turista, una cartolina musicale made in Kenya:


Jambo Jambo, Jambo bwana,
Habari gani, Mzuri sana.
Wageni, Mwakaribishwa,
Kenya yetu, Hakuna Matata.

Kenya nchi nzuri, Hakuna matata.
Nchi ya maajabu, Hakuna matata.
Nchi yakupendeza Hakuna matata.
Wa Kenya wote, Hakuna matata,
Hakuna matata, Hakuna matata.


Traduzione di Esther dallo swahili:

Ciao, ciao signore
Come stai? Sto molto bene
Turisti, benvenuti
Nel nostro Kenya, nessun problema

Il Kenya e’ un buon paese, nessun problema
E’ un paese con molte cose, nessun problema
E’ un paese bellissimo, nessun problema
Tutti i kenioti, nessun problema
Nessun problema, nessun problema.


PS: Peccato pero’ che il cd musicale che contiene questa canzone sia una vera schizeffa e che tutti i commercianti te lo vogliano proporre...

domenica 19 ottobre 2008

Cernia al latte di cocco (Zanzibar)



Ingredienti per 6 persone:

1 kg e mezzo di cernia tagliata a pezzi
1 tazza di latte di cocco
1 cipolla
2 pomodori
1 cucchiario di curry in polvere
1 cucchiaio di tamarindo
1 testa d’aglio
peperoncino, sale, olio per friggere


Preparazione:
In una padella con l’olio friggete il pesche salato facendo in modo di dorarlo esternamente. In una casseruola a parte preparate un soffritto con cipolla, pomodori, peperoncino, aglio a pezzettini e il cucchiaio di curry. Aggiungete il pesce fritto, bagnate con il latte di cocco e tamarindo. Cuocete a fuoco lento per circa 20 minuti. (Al posto della cernia potete usare i gamberi senza friggerli).

Tratto da AFRICA 5 – http://www.nigrizia.it


Questa ricetta non l’ho mai provata, ma non si differenzia mica tanto da quelle keniote… con il cocco si posson fare mille e più cose, è una crema sfiziosa e oltretutto nutriente. Da bere (madafu), da mangiare, per condire, per cucinare, sulla costa del kenya, il suo uso in cucina, è come per gli italiani la cipolla, ovunque e comunque.

Evviva le contaminazioni, evviva la cultura swahili!!!

Parola di una buona forchetta

rrr

Baobab, l’Albero Magico

Il baobab, chiamato anche Albero della Vita e Albero Farmacista, è una pianta che cresce nelle zone aride e rocciose, dalle regioni sud sahariane al Sud Africa. E’ un arbusto molto resistente e dalla vita molto lunga (alcuni esemplari sono vecchi di 5000 anni). Il nome deriva dall’arabo “bu-hibab”, che vuol dire frutto dai molteplici semi. E’ una pianta sacra e molto rispettata dagli africani; il simbolo dell’Africa che, dall’alto dei suoi 20 metri, fornisce agli uomini protezione e rifugio. Il suo ampio tronco scavato può diventare una abitazione, una chiesa o una prigione. Le foglie, le radici e i frutti sono commestibili e hanno molte proprietà terapeutiche. La fioritura coincide con la stagione delle piogge e i fiori hanno una vita media di 24 ore.

Tratto da AFRICA 5 – http://www.nigrizia.it



Ogni tanto quando lo osservo rimango senza parole… immenso, maestoso, sembra un albero caduto dal cielo al rovescio … spunta dalla terra, elegante e fiero, per comparire spesso in mezzo al nulla… con i semi si fanno delle caramelle che piacciono tanto sia agli adulti che hai bambini… per il resto (ai miei occhi muzungu) sembrerebbe una pianta assolutamente inutile, vista la mole e lo scarso utilizzo, dal legno poroso e poco resistente… ma in Africa tutto, per quanto possa sembrar assurdo, acquista una sua logica, e allora… e allora ammiriamolo con la sua forma paffuta ergersi dalla terra per andare a toccare il cielo…

È un albero bellissimo!

rrr

AFRICA 5, by www.nigrizia.it


AFRICA 5, by www.nigrizia.it

Scoprire l’Africa e il sud del mondo attraverso i cinque sensi…è possibile. E Nigrizia.it vi aiuterà a farlo con la nuova rubrica del nostro sito che vi consiglierà ricette, proverbi, eventi, mostre, libri, concerti, luoghi, profumi e vestiti per avere un po’ d’Africa addosso.
Ecco le cinque sezioni:

Gusto – ricette africane
Vista – leggere e vedere africano (libri, film, mostre e appuntamenti da vedere)
Udito – proverbi e racconti tramandati nella tradizione orale, musica e suoni
Olfatto – gli odori dei luoghi, l’ambiente e il turismo
Tatto – moda e modi di vita tra vestiti, arte e artigianato.

Tratto da AFRICA 5 – http://www.nigrizia.it


Buona navigazione smanettatori della rete globale! Che la curiosita’ possa esser conoscenza... e che la conoscenza possa abbattere l’ignoranza! Che in questo mondo dilaga!!!

Cyber Rob




Kimaasai, la lingua dei masai

Supa = Jambo, Habari, Ciao, Come stai
Epa = Mzuri, Bene
Sere = Kwaeri, Bye Bye, Arrivederci
Ancachena = Buongiorno
Eroraiu esidei = Buonanotte
Siie = Tafadali, Please, Per favore
Maape = go, andare
Endomunuto = Kuraka, Danza
Arakarashaa = vestito masai (200 ks)
Orbinancheti = coperta masai (400 ks)
Hankamoca = scarpe masai ricavate dai pneumatici (700 ks)
Urkuma = Rungu, Randello masai (500 ks)


Difficile, veramente difficile il kimaasai, suoni troppo secchi per le mie orecchie ormai abituate e addolcite al kiswahili, le parole hanno una pronuncia dura, forse prodotta da un’impostazione diversa della lingua e della bocca, forse per i due denti inferiori mancanti... (nella riga a sinistra, le ho scritte per come le ho sentite pronunciate...)

Il ragazzo di fronte a me, abbardato nel suo classico “arakarashaa” (tipico vestito masai a tinte rosse), tutto ricoperto con i suoi inseparabili ornamenti di collane cavigliere e bracciali di perline, il suo fedele pugnale sul fianco con ai piedi le usuali scarpe di ricavate dai pneumatici, portando al polso un moderno orologio al quarzo e un sudicio marsupio di una marca di latte italiana gentilmente donato da un muzungu italiano, tra versi strani e suoni impronunciabili, a meno due giorni dal mio safari alla scoperta delle terre e della cultura masai, si e’ svolta in spiaggia una breve e improvvisata lezione di lingua kimaasai.

Gli racconto che tra tre notti dormiro’ in un minuscolo villaggio masai ai piedi del Monte Kilimangiaro... e’ felice per la mia scelta, mi guarda incuriosito, avrei mille domande da porgli, allora gli chiedo che tipo di cibo, oltre la mucca la capra e al latte mischiato al sangue, si riesce a mangiare dalle sue parti... capisco mais, ugali, pomodori, pollo, uova... niente maandazi e niente chapati, ma so che in qualche modo si sopravvivera’...

Il masai, di cui non ricordo il nome, ha 25 anni, son in 5 tra fratelli e sorelle, e la famiglia possiede 15 mucche e 30 capre. Lavorera’ a Malindi per 4 mesi, poi ritornera’ nel suo villaggio ai piedi del Monte Kilimangiaro. Non sa l’inglese, quindi il nostro punto d’incontro sono le mie 20 parole che ho imparato di kiswahili e le sue 20 parole che ha imparato di italiano lavorando come askari (guardiano) tra i wuzungu... sembra una scena fantozziana, al riparo dal sole che brucia come una padella sul fuoco, gesticoliamo entrambi alla ricerca di comprendere cosa dice l’altro...

Si stupisce che io a 32 anni sia lontano da casa, che non abbia ancora preso moglie e non abbia dei figli... come fare con questo poco “alfabeto” in comune a spiegare? Ma soprattutto, cosa potrei mai dirgli? Come farebbe mai capire le scelte e la mentalita’ wazungu?

Hakuna matata... sorride scuotendo la testa e lasciando intravedere i suoi due denti centrali mancanti, tipico della cultura masai...

Ogni tanto prende e va, deve fare il consueto giro di ronda, e’ pagato per questo, poi quando ritorna mi dice che ci son dei beach boys in giro per la spiaggia e che di loro non c’e’ da fidarsi, matata (problemi)... mi spiega che “curano” dove son le borse dei wazungu, per poi fiondarsi di corsa a prenderle e scappare via... attenti voi poveri sfaccendati beach boys! Se vi prende il masai!!!

Gli chiedo se posso fargli un foto, che la voglio spedir a mamma e papa’ che son lontani... “no, hakuna”, “ok, sawa”... tanto so che l’importante e’ stato poter condividere qualche ora con lui, fiero e coraggioso guerriero moran...

Il sole cala, tra due giorni saro’ sotto i piedi del Monte Kilimangiaro, dove provero’ a metter sulla lingua le 10 parole imparate di kimaasai...

Sere masai!”

Quando lo sente si sbellica dal ridere, la sua faccia e’ attraversata da un ghigno, un muzungu che sbiascica un arrivederci in lingua kimaasai!!!



PS del post safari: il nome corretto della lingua parlata dai masai sarebbe maa, e non kimaasai, come semplicisticamente viene chiamata… perché questa lingua viene parlata anche dalla tribù samburu e laikipia

Tra modernità e tradizione

Guardate bene le foto… che cosa vedete?

Accender il fuoco con un pezzetto di legno? Usando magari della paglia secca o un pezzo di sterco d’elefante essicato?

Certamente anche quello, ma c’e un particolare da notare…

Il vecchio e il nuovo… la modernita’ che va a “braccetto” con la tradizione, il sapere e la cultura degli avi che viene costantemente nutrita e rispettata… con al polso un orologio digitale…

I masai…

Supa!!!

Rob



Topo Galileo

Corre avanti e indietro, ma ritorna sempre sullo stesso bicchiere…

Uno è vuoto, in un altro c’è un rimasuglio di birra, ma a lui piace quello della coca cola…

Sul fondo ne rimane solo un dito, con le sue piccole zampine si arrampica guardingo, rimane sul bordo in precario equilibrio, poi rapido si cala e la sua lunga coda rimane fuori a penzoloni, dà qualche leccata veloce, poi ritorna su a leccarsi soddisfatto i baffi, mantiene lo sguardo vigile e attento ai minimi movimenti umani della sala, per poi ritornar nuovamente sul fondo a dare qualche altra leccata nervosa e furtiva, come stregato dall’effetto della coca cola… per poi scappare e ritornare per un’altra scorribanda…

Senza nulla fare, aspettando che sia pronta la mia cena (fortuna che prendo carne alla griglia), osservo questo piccolo grigio topastro che corre avanti e indietro sul bancone del bar per compiere un’altra scorribanda…

Topo Galileo, come in un vecchio film di Beppe Grillo, solo che qui invece di esser interessato a premere un chissà quale bottone, questo si beve la coca cola…

Ristorante “Came back” di Malindi, a ognuno le proprie preferenze… chakula cema!


PS: questo ristorante offre il miglior pollo alla griglia di tutta Malindi! non giudicate dalle apparenze... e dal povero tossico assetato topolino...


Ndege, l’uccello…

Ndege, l’uccello…


Sfogliando una rivista, o meglio la newsletter del Comitato Italiano ho trovato questo articolo:

Dopo vent’anni di attesa finalmente pare si sia deciso di costruire un nuovo aereoporto a Malindi…… Forse altri vent’anni per vederlo realizzato……
Non si tratta del restauro del vecchio ma di uno completamente nuovo che dovrebbe sorgere a circa 40 km da Malindi sulla strada per Lamu.
Inizialmente i residenti della zona di Lango Baya si erano opposti adducendo che non erano stati interpellati e che l’aereoporto avebbe interferito con tutte le tombe dei loro antenati…
Finalmente hanno dato il loro assenso ed il ranch “Weru Ranch” sara’ diviso in due parti: una andra’ agli sqatters e l’altra sara’ usata per la costruzione del nuovo aereoporto come asserisce Gideon Mungaro, primo membro del parlamento del distretto di Malindi.

Notizia tratta da PILLOLE DI MALINDI, anno 3, N. 12


Beh, che dire, progresso e futuro che vanno a braccetto, tradizione e passato che cercano un punto d’incontro… che l’abbiano veramente trovato? Sviluppo del turismo e maggior opportunita’ di lavoro (se non per tutti, lo sara’ forse per molti), chissa’ invece che ne pensano gli antenati dei tanti ndege (uccello, nome originario in lingua kiswahili per indicare un aereoplano!) che gli atterreranno sopra le loro teste…




Lo sapevate che... Curiosita' dall’Africa

Curiosita' dall’Africa

- Il leone dorme approssimativamente 20 ore al giorno
- I cammelli hanno tre palpebre per protersi proteggere dalla sabbia del deserto
- Gli elefanti sono i soli animali che non possono saltare
- Quando un leone adulto ruggisce puo’ essere udito a circa 5 km di distanza
- Mombasa significa isola di guerra, nome originario arabo dovuto al fatto che nel corso dei secoli vi sono stati parecchi cambiamenti di regime


Notizie tratte dalla newsletter “PILLOLE DI MALINDI”, anno 3, N. 12

domenica 5 ottobre 2008

Gamberoni al mango

A cura di Alfredo “Freddi” del Curatolo – Tratto dal periodico QUI MALINDI

CUCINA CREATITA KENYOTA: GUSTI INEDITI E PIATTI SPECIALI!

GAMBERONI AL MANGO

Ingredienti per 4 persone:
1 Kg di gamberoni di Lamu (Jumbo prawns)
2 manghi maturi
Due bustine di anacardi non salati
Uno spicchio d’aglio
Un bicchiere di vino bianco
Mezzo tot di brandy locale
Olio d’oliva o anche di girasole
Sale e pepe quanto basta

Arrossate i gamberoni in una padella con un filo d’olio e due dita di vino bianco, a parte fate saltare il mango tagliato a dadini sottili con aglio, olio, sale e pepe.
Unite i gamberi alla salsa dopo averli sgusciati lasciando la testa, aggiungendo mezzo tot di brandy e un goccio di tabasco. A parte sbriciolate gli anacardi, preparate una terrina leggermente imburrata, rivestite il corpo nudo del gambero con gli anacardi e metteteli in forno a temperature media. Dopo una decina di minuti kenioti estraeteli e guarniteli nel piatto con il resto della salsa. Buon appetito!

A cura di Alfredo “Freddi” del Curatolo – Tratto dal periodico QUI MALINDI

Metti il mango col gamberone



A cura di Alfredo “Freddi” del Curatolo – Tratto dal periodico QUI MALINDI

CUCINA CREATITA KENYOTA: GUSTI INEDITI E PIATTI SPECIALI!

Metti il mango col gamberone

La cucina dell’Africa equatoriale e’ essenzialmente una cucina di sostentamento. La natura, fin dai tempi in cui il sole arde questa parte di terra e la pioggia sovente non la bagna abbastanza, ha cercato di ovviare alla mancanza di determinati cibi, limitando lo sviluppo delle papille gustative dei suoi abitanti. Scherzando si puo’ dire che i kenioti non sentano il gusto delle pietanze. Non e’ esatto, diciamo piuttosto che la loro gastronomia e’ il giusto compromesso tra le risorse del Paese e il piacere della tavola. Prima di tutto: soddisfare l’appetito. Era cosi anche nelle regioni povere d’Italia all’inizio del Novecento. Polenta al nord e pasta di grano al sud, pomodoro per insaporire e carne dell’aia o verdure dell’orto a dare sostanza.

Il miglioramento (lento) delle condizioni di vita delle popolazioni locali, ha portato cambiamenti anche nella cucina, cosi da un’arte culinaria misera e minimale, basata sul mais e sui legumi, sulle parti meno nobili dei bovini e sulle erbe di campo, si e’ passati ad elaborare piatti che oggi appaiono come squisitezze per il palato. Cio’ e’ accaduto in maniera particolare sulla costa, dove l’approdo di popoli e culture diverse, ha lasciato il segno, contaminando e facendosi contaminare dal luogo.


In questo modo si puo’ spiegare l’utilizzo del cocco (oltretutto nutriente, oltre che gradevolmente esotico) come panna per mantecare salse e impreziosire il riso, la frutta per accompagnare i crostacei, le spezie indiane da mischiare con lo stesso latte di cocco o con il sugo di pomodoro locale. L’onnipresente polenta, chiamata in lingua Kiswahili “Sima”, curiosamente come la materia prima incandescente di cui e’ composta la crosta terrestre, diventa piu’ appetibile del pane se tagliata a fette e poi grigliata oppure fritta in padella, per supportare intringoli con spinaci, cavolo bianco o fagioli.

Per non parlare della variazione sul tema dei piatti tradizionali importati dagli arabi, che tra Mombasa e Lamu hanno creato la cosiddetta “cucina swahili”: le samosa, triangolini di pasta solitamente ripieni di carne o verdure, sono farcite con patate e cumino, o addirittura italianizzate con mozzarella e pomodoro.



Gia’, perche’ l’ultima colonizzazione culinaria e’ la nostra: e allora ecco il risotto al cocco e aragosta, il granchio all’avocado e gli spaghetti al sailfish (variante: col gorgonzola!)

Arte povera, esotismo, influenze europee: gli ingredienti di una moderna e gustosa cucina “world” in Kenya ci sono tutti. Non rimane che imparare (o creare) qualche buona ricetta e mettersi a tavola!

A cura di Alfredo “Freddi” del Curatolo – Tratto dal periodico QUI MALINDI

Perche’ ci si innamora di Malindi?

Di Alfredo “Freddi” del Curatolo – Tratto dal periodico QUI MALINDI

“Perche’ Malindi?” Mi domandavo anni fa mentre preparavo l’ennesima valigia e imballavo scatole di vestiti invernali carichi di naftalina, destinati alla soffitta di qualche parente. “Perche’ Malindi e non Santo Domingo, L’Avana, Puerto Escondido, Bali, Tenerife, Djerba, Phuket, Gabicce Mare…”. Quando si tratta di fuga, e’ il luogo che abbandoni l’importante, non il punto d’arrivo. Ma in questo caso, cogliendo il frutto della partenza dopo la giusta maturazione di una scelta ponderata, la meta e’ allo stesso tempo lo zero e lo zenith da cui ripartire, nella perfetta alchimia tra presente e futuro, lasciando i vecchi progetti e le antiche speranze in soffitta, imballati e coperti di naftalina come i vestiti che non dovro’ piu’ indossare.


“Perche’ Malindi?” Perche’ per chi non ha risorse infinite ma si sa accontentare, c’e da lavorare, piu’ con l’ingegno piuttosto che con gli intrallazzi o certi giochini, perche’ chi ha voglia di fare lo puo’ fare e chi non ha molta voglia comunque puo’ campare, perche’ siamo in Africa ma la lingua ufficiale non e’ l’italiano, perche’ qui non ci sono cartellini da timbrare ne orari che sia proprio obbligo rispettare, perche’ otto mesi all’anni c’e il sole e anche nei mesi restanti la temperature non scende mai sotto i venti gradi, perche’ qui ti viene lo stress di non avere stress (e se uno e’ furbo capisce che i paradossi si possono eliminare, mica come le zanzare), perche’ la natura esiste e ci si puo’ entrare in contatto, senza dover fare sei ore di traffico sulla provinciale per andare alla domenica in un’oasi del WWF o rischiare la vita sulla Serravalle. Perche’ noi latini, noi antichi romani, sembra strano, abbiamo qualcosa da imparare da una civilta’ bambina. Perche’ i bimbi dicono sempre la verita’, fanno sciocchezze ma sono appunto cose da poco, si fanno perdonare e ricominciano, ma sono semplici e solari nelle loro manifestazioni. Quantomeno si impara la pazienza, che e’ un’arte povera ma ci fa guadagnare in salute.

Perche’ il mango gentilmente mercificato e’ piu’ buono delle albicocche geneticamente modificate, perche’ il pesce fresco sulla griglia, cucinato sul balcone di casa in viale Zara a Milano non viene molto bene, perche’ bastano quattro ore di fuoristrada per sentirsi nel centro del mondo, nel Regno Degli Animali. Perche’ non se ne puo’ piu’ di quel regno degli animali che si credono al centro del mondo e sono soltanto insetti impauriti. Perche’ il “grande fratello” dovrebbe essere un nuovo splendido amico che si incontra e non un cazzo di trasmissione televisiva da guardoni rimbambiti, perche’ nonostante qualcuno abbia cercato di portatsi dietro le schifezze in naftalina, piano piano, pole pole, in naftalina ci finira’ lui. Solo chi ama l’Africa resiste in questo posto, solo chi trasforma il suo futuro in presente e impara a vivere alla giornata puo’ vivere in sintonia con Malindi.


Passa il tempo, per me son quasi vent’anni. Oggi, complice l’invivibilita’ del mondo occidentale, son in tanti a valutare questo ambiente come il luogo dove stabilirsi, in cui vivere una vita a misura dell’umanita’ che ci portiamo dentro.

Magari domandandosi prima “perche’ Malindi” e trovando risposte che scaturiscano un sorriso o anche un po’ di malinconia ma, insomma, un sentimento! Per chi non si chiede “perche’ Malindi?”, questo (per carita’ e per fortuna!) resta uno dei tanti luoghi di vacanza, dei mille paradisi esotici con i suoi pregi e i difetti. “Karibu”, si dice qua: benvenuto! Inutile e dannoso pero’ venderlo per quello che non e’, o raccontare che il mare e’ maldiviano o che le infrastrutture fanno invidia a Sharm El Sheikh.

Bisogna adattarsi con quel che c’e e avere piu’ rispetto di chi ci ospita, insegnando con garbo ai bambini a rispettare di piu’ casa loro. Ne vale la pena, perche’ come diceva il Poeta: “dai diamante non nasce niente, dal letame nascono i fiori”.


Di Alfredo “Freddi” del Curatolo – Tratto dal periodico QUI MALINDI

Anche il cane dorme…



Anche il cane dorme… anche loro si lasciano vivere nei lenti ritmi africani.

Non corre, non gioca, gironzola poco e niente… sonnecchia stravaccato all’ombra o si ruzzola nel giardino sotto al sole… l’importante per lui e’ ricevere ogni tanto qualche carezza, qualche mano che gli gratti il muso o la pancia…

Quando qualcuno di casa passa nei suoi paraggi, alza svogliato il muso da terra e ti guarda con i suoi imperscrutabili occhioni africani…

Venus dolce e quieta Venus… tu che sogni e che dormi, tu che russi nella notte piu’ di un umano…


Nella foto: attenzione al cane, in lingua kiswahili

Ebano, di Ryszard Kapuscinski (5)

E quindi, salendo in autobus, l’africano non chiede quando si parte. Sale, occupa un posto libero e sprofonda immediatamente nello stato in cui trascorre buona parte della propria vita: l’attesa passiva.

“Questa gente ha una capacita’ di aspettare assolutamente incredibile!” mi disse una volta un inglese che abita qui da anni. “Una capacita’, una resistenza, quasi un sesto senso speciale!”

Il mondo e’ impregnato di una misteriosa energia che scorre segretamente. Appena ci si avvicina e ci si comunica, ci da’ la forza di mettere in moto il tempo, e le cose cominciano ad accadere. Ma finche’ cio’ non succede bisogna aspettare: ogni altro atteggiamento non e’ che illusione e vano donchisciottismo.
In che cosa consiste questa attesa passiva? La gente vi si cala consapevole di cio’ che avverra’, e quindi cerca di mettersi il piu’ comoda possible, nel posto migliore. A volte si sdraia, si siede per terra, su una pietra, oppure si accovaccia. Le conversazioni cessano. La torma degli esseri in attesa e’ muta. Non fa parola, tace. Subentra il rilassamento muscolare: la figura si assottiglia, si affloscia, si rattrappisce. Il collo si immobilizza, la testa si fa immota. L’uomo non guarda, non osserva, non manifesta curiosita’. Spesso, ma non sempre, tiene gli occhi chiusi. Di solito gli occhi stanno aperti, ma lo sguardo e’ vitreo, privo di vita. Ho osservato per ore queste folle in stato di attesa passive e posso dire che la gente cade in una specie di sonno fisiologico profondo: non mangia, non dorme, non orina. Non reagisce al sole che brucia senza pieta’, alle mosche insistenti e voraci che si posano sulle palpebre e sulle labbra.

Ma che succede intanto nella testa di queste persone?
Lo ignoro. Pensano? Sognano? Ricordano? Fanno progetti? Meditano? Viaggiano nell’aldila’? Difficile dirlo.

Tratto da Ebano, di Ryszard Kapuscinski (edizioni Feltrinelli)


Ebano, di Ryszard Kapuscinski (4)

Saliamo sull’autobus e prendiamo posto. Questo e’ uno dei momenti in cui puo’ verificarsi uno sconto, una collisione, un conflitto tra due culture diverse, soprattutto se il passeggero e’ arrivato da poco e non sa niente dell’Africa. Un tipo cosi’ comincia a guardarsi intorno, ad agitarsi e a chiedere: “quando parte l’autobus?”. “Come, quando?” risponde il guidatore stupito. “Quando ci sara’ abbastanza gente da riempirlo.”

Tratto da Ebano, di Ryszard Kapuscinski (edizioni Feltrinelli)


Il gioco degli opposti

Ogni tanto mi affiora nella testa stropicciando i pensieri…

Chi e’ veramente in debito? Cosa significa la parola debito? E di che cosa e’ in debito?

Son davvero i paesi del Terzo Mondo ad esserlo oppure e’ l’occidente industrializzato?

Chi chiede a chi? Chi ha dato cosa? Cosa ha ricevuto chi?

Perche’ delle volte penso che questo dissonante e strampalato mondo giri al contrario…

La storia purtroppo non ha una memoria economica, ma l’economia ha certamente una memoria storica

L’occidente, che in un tempo non troppo lontano, ha colonizzato l’intero continente africano (e non solo questo), tagliandolo a fette di appartenenza e sfruttando questo cosiddetto Terzo Mondo, ora, nei tempi della politica del profitto – in cui esisti solo in base ad un rapporto economico – gli stessi colonizzatori battono cassa per saldare un debito (monetario).

Ma chi e’ veramente in debito? E di cosa?

C’e chi grida balla e canta di azzerare il loro debito economico, e poi c’e’ chi racconta di “mani africane troppo avide e sporche”, che senza porsi tanti scrupoli, intasca soldi rubandoli allo stato (i poveri cittadini), incrementando a livello esponenziale il proprio patrimonio personale, depositando la propria ricchezza su conti bancari all’estero.

L’Africa e’ tutto e di piu’, un corollario di contraddizioni e di assurdi, e anche qui – come nel resto del mondo – la corruzione dilaga ingrassando i potenti.

Cazziati e mazziati da ambo i lati (dalla propria classe politica, e dal ricco occidente che batte cassa), i paesi, o meglio le persone del Terzo Mondo, si trovano in una situazione surreale e tragicomica: dover azzerare un debito.

Debito di cosa?

Derubati delle proprie risorse (oro, diamanti, minerali ecc…), da sempre sfruttati o mal pagati (per non parlare del drammatico e criminoso periodo della schiavitu’), schiacciati da un gioco di potere che li vede pedine senza diritti, gli africani tirano avanti vivendo giorno per giorno…

Sicuramente e’ un argomento troppo vasto e complicato per ridurdo a poche righe su una paginetta bianca, si rischia di scivolare sulla superficialita’… ma… ma… ci son troppi “ma” che ronzano nella mia testa…

Ma… chi e’ veramente in debito?

Stramberie da muzungu

Delle volte resto lì immobile a guardarli, non sapendo minimamente cosa dire…

Essere invitato a cena, veder tanta ospitalità e tanti sorrisi, fare delle foto con la mia digitale, hakuna print, nessuna stampa fotografica, e dopo qualche giorno consegnare loro un cd contenente le foto delle cena e alcune immagini scattate al lavoro…

Veder occhi sorpresi e facce disorientate, meraviglia delle meraviglie, incredulita’ generale, quasi gli scappano due lacrine… “le foto su questo cd? E ci rimarranno per sempre? Grazie grazie grazie!!”

E allora sentirmi un muzungu che proviene dal pianeta Marte, “certo le foto” rispondo io, ma certamente cosa?... “fammi pero’ saper se riesci a vederle dove vedi i film”…

Mai dare nulla per scontato… avranno vestiti sbrindellati e cucineranno ancora con la legna, mangeranno con le mani e ci saranno ancora le lampade a cherosene, in tasca avranno un cellulare alla moda e posson andare in un cento M-Pesa per trasferire soldi ad un parente in un villaggio sperduto utilizzando l’etere, ma… mai dare nulla per scontato…

“Grazie, grazie mille! Ora i bambini vogliono veder le foto tutti i giorni! Piu’ volte al giorno! E mia moglie mi chiede come sia mai possibile metter le foto dentro al cd! Non se lo sa immaginare, pensa che tu sia molto ma molto intelligente!”

Sorrido e cerco le parole per spiegare…

Beata e ignara semplicita’…


Perche’ cambiare?

Perche’ cambiare?

Una frase a cui ancora oggi non riesco ad abituarmi, una frase che qui in Kenya sento spesso dire, troppo spesso per farla passare inosservata, ed ogni volta che le mie orecchie la sentono, un brivido inizia a pervadere tutto il mio corpo…

Perche’ cambiare?

Allora il mio pensiero corre al mondo dei wazungu, alla realta’ delle cose in occidente, e sento questa frase stridere contro le nostre abitudini di azione e pensiero, stridere contro lo scorrere stesso della vita…

Perche’ cambiare?

Gia’, perche’ cambiare?! Cosa ci spinge al cambiamento? Perche’ l’occidente ha assunto questo bisogno cronico di cambiare sempre e costantemente? Da dove nasce questa incessante necessita’ di inseguire sempre qualcosa di nuovo? Perche’ l’Africa non cambia e rimane sempre uguale a se stessa?

Gia’, perche’? Per quale necessita’?

Imparare a dire NO

Non è facile, il più delle volte mi si spezza il cuore, altre volte è cosi difficile che non so come ci riesco...

Ma so che è necessario

Forse non lo capirete, ma qui in Africa e’ sempre cosi’, perche’ le richieste son perennemente infinite.

Da un’unghia si passa alla mano, e da una mano si passa a tutto il braccio. Il salto è breve, e se lo imparano e’ anche veloce.

Ho dovuto imparare a dire di NO.

Oppure dire che è un prestito, che quelle poche monete o quei pochi pezzi di carta sporchi e malconci mi devono esser restituiti, altrimenti non se ne viene più fuori, perche’ la richiesta diventerebbe incessante circolo vizioso.

Certe volte son 100, altre volte son 1000 scellini, ma so bene che l’importante è la cifra, ma la richiesta, e alllora spesso devo costringermi a rifiutare.

Non è mancanza di cuore e nemmeno spilorceria, è che ho la pelle bianca, ed ogni necessita’ è buona per chiedere. Chiedi che dal muzungu ti sarà dato.

Son tanti i citizen che ho attorno e in tanti hanno sempre un disperato bisogno cronico di denaro. Soldi per questa cosa, soldi per quell’altra cosa, ovunque e comunque soldi. A scherzarci sopra, sembrerebbe che questa sia una delle prime parole che imparano nella vita e che sempre li accompagnerà nel loro cammino. Soldi soldi soldi.


Hanno occhi grandi e sguardi bassi... iniziare con uno vuol dire doverli dare prima o poi a tutti. Per la mamma malata o per i figli, per la scuola o per il trasporto, per il sacco di riso o per la gallina, per il dottore o per la medicine, per la fame o per la costruzione della propria casa… son infinite le possibili necessità di bisogno, tutte dettate dal momento. Molti cercan di far leva su un qualche senso di colpa, su una qualche urgenza, sulla differenza di disponibilità economica …

100 scellini non sono niente, ma posson risolvere un bisogno
1000 scellini non sono niente, ma posson tamponare un’urgenza.

Il problema e’ che le emergenze son continue, non tutte son vere, e non termineranno con il versamento di 1000 scellini...

Quindi che fare? Elargire soldi a tutti come dolci caramelle oppure imparare a dire di no, valutando magari di dare un prestito solo agli amici e ai piu’ fidati?

Che tu lo voglia o no, l’Africa bussa al proprio cuore... sta a te aprirne la porta.

Nota informativa: 100 scellini equivalgono a circa 1 euro, 1000 scellini equivalgono invece a circa 10 euro.

Ognuno col proprio respiro


Respirare, meditare, guardarsi dentro, sentirsi senza parlare... Sembran concetti alieni sulle rive dell’Oceano Indiano, azioni impossibili, derisibili, insostenibili…

Ogni abbiam provato con la Kundalini di Osho, forse è andata un po’ meglio del solito, ma si e’ ben lontani dall’obiettivo… obiettivo che è provare a centrarsi e armonizzarsi, sentirsi e respirare, unire il proprio corpo con la mente, sincronizzarsi e integrarsi…

All’inizio c’e da sentirsi avviliti, scoraggiati, sembrava inutile, per sapendo che gli inizi son difficile per chiunque, europei e africani, e poi…

Poi mi son chiesto se a loro, per come vivono, per come pensano, per come respirano, semplicemente per come sono, potesse mai servire meditare (definendo con questo nome il concetto di unire il corpo alla mente, il centrarsi), essendo invece una buona “medicina” per muzungu disarmonici e stressati che impostano la propria vita nella frenetica corsa dell’andare avanti senza ne fermarsi ne guardarsi, vivendo un tempo che non e’ ora...


Potrà mai servire qui in Africa fermarsi? O sono gia “fermi” di loro? Serve agli africani cercare un proprio respiro interiore?

E poi… e poi l’illuminazione, la quadratura del cerchio... lo scoppio di una fragorosa risata con un ghigno che mi attraversa la faccia.

Quanta ignoranza nella mia mente muzunga, ogni tanto faccio ancora lo sbaglio di mettere a confronto, lo sbaglio di ritenere che se una cosa è buona per l’uomo bianco lo debba essere anche per l’uomo nero… che sciocco che sono, la quadratura del cerchio era proprio li davanti ai miei occhi, ma celata dall’ignoranza e dalla non appartenenza al continente africano...

La chiesa! Il gospel! La devozione! Ecco il punto d’incontro!!! Corpi che ballano e che cantano, che pregano e che risuonano, mani che dalla terra si elevano al cielo, in un’inno di gioia, in un’esplosione d’amore. La loro personale “meditazione”.

Mi si illuminano gli occhi; chiedo a Esther, la mia mama africana, la “vecchia gallina” che ti guarda e che ti ascolta, colei che ogni tanto riesce anche a capirmi, gli chiedo se ho visto giusto.

Allora inizia a raccontarmi, il gospel e’ un’estasi, una comunicazione profonda con se stessi e con Dio, si e’ un tutt’uno con cio’ che ti circonda, ci si sente forti e potenti, salteresti con un balzo gli oceani e scavalcheresti con un passo le montagne, si ha il cuore gonfio di gioia e la testa libera dai pensieri...

Forse ce l’abbiamo fatta, ognuno con le proprie forme e con i propri colori, forse abbiam trovato il nostro punto d’incontro...

roby meditation

Italiani brava gente (parte 2)

E da brava gente che siamo, ecco cosa qualche italiano ha creato… buona lettura! E comprategli sta mucca!


robi rob



A cura dell’ASSOCIAZIONE KARIBU ONLUS in collaborazione con CHAKAMA ORPHANS SELF HELP GROUP

IL KENYA OGGI
Il Kenya e’ uno dei grandi Stati della costa centro-orientale dell’Africa. Solo il 10% della popolazione ha il controllo dell’economia, mentre il rimanente 90% e’ povero e privo dei principali servizi. Nonostante le apparenze anche il turismo apporta poco benessere alla maggioranza della popolazione gia’ minata da HIV, malaria e TBC. Al contrario, e’ causa di privazioni; per esempio l’acqua viene spesso sottratta ai villaggi a vantaggio dei grandi alberghi e complessi turistici. Il tutto il Paese infine le strutture scolastiche sono in gran parte carenti delle attrezzature fondamentali.

L’INTERVENTO
E’ da poco nata a Malindi un’associazione No Profit dal nome CHAKAMA ORPHANS SELF HELP GROUP, che, in collaborazione con KARIBU ONLUS e la supervisione e la mediazione del CDA (Coast Developmen Autorithy, un ente parastatale del Kenya preposto allo sviluppo delle aree piu’ povere della zona costiera), finanziera’ e aiutera’ nella realizzazione di un progetto di sostegno e sviluppo nel villaggio di Chakama.

CHAKAMA
Chakama e’ un piccolo villaggio nell’entroterra della costa Keniota. La zona, nonostante si trovi a soli 50 Km dalla ricchezza dei villaggi turistici e dal lusso delle case di villeggiatura di Malindi, e’ estremamente povera, senza servizi di base, senza strutture sanitarie adeguate e con misere capanne di paglia come abitazioni, prive di acqua potabile, luce e servizi igienici.

IN AFRICA SI FA COSI’: KARIBU
A parte le emergenze drammatiche, l’Africa non chiede carita’, l’Africa chiede sostegno nel fare. Per questo la nascita di questo progetto, creare un piccolo Comprensorio nel villaggio di Chakama con il doppio scopo di accogliere I bambini orfani e di farne un Centro di Formazione Professionale. In questo modo il Comprensorio diventera’ il cuore vero e proprio della Comunita’. Verranno fornite tutte le attrezzature ed il know how necessario per avviare processi di auto sostentamento attraverso le coltivazioni, l’allevamento, la pesca e l’artigianato.


LE STRUTTURE
Le strutture che faranno parte del Complesso saranno: dormitorio maschile, dormitorio femminile, aule scolastiche per Primary e Secondary School, mensa, magazzino, lavanderia, officina, capanna per cabina elettrica e autoclave, nursery per le mamme occupate nei lavori, ufficio di segreteria, edificio per lo svago e per le arti, piccolo ambulatorio medico, alloggi per medici, piccolo negozio.

“MI COMPRI UNA MUCCA?”
Sostienici adesso: per effettuare un ordine basta scrivere via mail a popifabrizio@hotmail.com oppure guidorocca@hotmail.com, indicando cosa si desidera donare alla comunita’ di Chakama ed, eventualmente, il nome che si vuole dare all’animale donato.



Per effettuare il versamento:
IN POSTA: Karibu Associazione Onlus
IBAN: IT48L0760114100000086083417 – ABI 07601 – CAB 14100
Causale: Progetto Chakama

IN BANCA: Karibu Associazione Onlus
BANCA POPOLARE DI SONDRIO
IBAN: IT54W0569601609000006036X37
Causale: Progetto Chakama

Italiani brava gente (parte 1)

Seppur potremmo esser definiti mammoni, mafiosi, modaioli, superficiali, vanitosi, chiaccheroni, impiccioni, casinisti, e ci autoeleviamo primi in classifica in una moltitudine di settori per un’inifita’ di cose, noi italiani siam anche quelli che vengon definiti “italiani brava gente”.

Derisi o amati esportiamo cio’ che siamo: italianita'. Italiani brava gente.

In Kenya siam amati, e la gente ci vuole bene. Siamo quelli dal cuore d’oro, quelli che offrono il proprio aiuto, la propria cooperazione. Il cuore ci si allarga, siam allegri, gioiamo e brindiamo alla vita.

Ci piace fare piu’ a pacche sulle spalle che cazziare e mazziare facendo il muso duro. Siamo quel che siamo, e questo ogni tanto ci porta anche ad esser poco rispettati, la nostra troppa cordialita’ (a differenza dei tedeschi e degli inglesi) delle volte ci si ritorce contro. Ma i locali ci amano, chissa’ cosa vedono in noi…

Siam quelli che fanno progetti e che creano associazioni, quelli che si buttano nel volontariato e che lavorano nella coorperazione, quelli che aiutano nello sviluppo e che elargiscono consigli (anche quelli gratuiti e inadeguati), quelli che spesso offrono denari…

Siam “italiani brava gente”, e da brava gente che siamo ogni tanto qualcosa di buono lo combiniamo…

(il continuo con la PARTE 2)

E tu? Che italiano sei?

Kenya, Amore mio addio – di Italo Grifoni


Sembra la storia di tanti nostri connazionali italiani (e non solo loro) venuti in Kenya. Un racconto che da romanzo su carta puo’ diviene tranquillamente realta’. Gli esempi sono tanti, basta andare in giro a Malindi per sentire o vedere esperienze simili a questa. Ogni storia pero’ si differenzia nei modi e nei particolari, svelando retroscena non sempre limpidi. Una storia d’amore, una storia di vita.
Il libro e’ stampato da Promos Edizioni Milano, ed uscira’ il dicembre prossimo.
Buona lettura.

rrr


E’ la storia di un uomo di settant’anni che, rimasto vedovo, va a vivere in Kenya, dove ha una casa a Malindi e, in alternativa ad una sicura solitudine, s’innamora di una bellissima ragazza nera di 23 anni e, in un certo senso, ne viene ricambiato, creandosi un futuro di sogni concreti, ma allo stesso tempo non certo facili. La storia si snoda attraverso il racconto di questa relazione, costellata da grandi momenti di tenerezza, di amore fisico e di gioia e felicita’, sia pure accompagnate da continue richieste di soldi e tradimenti, in un ambiente dove la vita e’ sicuramente piacevole e in un clima ritenuto tra i piu’ belli del mondo. In questa storia si viene a conoscenza di un tipico modo di vivere locale e dei rapporti che spesso nascono tra un bianco e una nera, sicuramente interessanti e sorprendenti, ma pieni anche di grandi rischi, seppure accompagnati da forti emozioni, sino a raggiungere nel racconto un finale che lasciamo al lettore leggere e interpretare.

Italo Grifoni e’ un giornalista pubblicista, in pensione da anni. Ha vissuto per diversi anni in Kenya e ne conosce tanti aspetti; dai racconti che ha ascoltato e da quello che ha visto ha tratto spunti per scrivere questo racconto.